Ve la ricordate l’Alitalia? Quella che stava fallendo? Beh, è terza la compagnia aerea più puntuale d’Europa, dopo Iberia e Austrian Airlines. E sotto la gestione commissariale, instaurata per scongiurare il fallimento, ha generato anche un capitale circolante positivo per 94 milioni di euro. Da gennaio a giugno 2018, l’84% dei voli Alitalia è atterrato puntuale secondo la speciale classifica redatta dal sito specializzato e indipendente Flighstats. Meglio di British Airways (82%), Lufthansa (80%) e Air France (78%) – e della low cost EasyJet (78%). A livello mondiale, Alitalia è decima davanti ai tre principali player statunitensi: Delta Air Lines (82%), American Airlines e United Airlines (80%). Molto meglio degli anni scorsi.



È su queste basi – che si devono alla gestione dei commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari – che il governo giallo-verde ha deciso di non vendere più – sarebbe stata ovviamente una penosa svendita – gli asset della compagnia al “meno-peggior” offerente (in pole position la Lufthansa), ma di nazionalizzarla, statalizzarla. Schiere di economisti liberisti e consulenti di grandi gruppi finanziari privati sono pronti a stracciarsi le vesti per lo scandalo. Ma l’idea governativa è che Alitalia debba e possa essere un ingranaggio importante nella strategia di sviluppo dell’incoming turistico in Italia e della stessa immagine complessiva del Paese nel mondo, a patto ovviamente di non perdere più.



L’idea del Governo è di far intervenire dunque, al momento in cui il prestito-ponte di 900 milioni dovrà essere restituito, una cordata capeggiata dalla Cassa depositi e prestiti – o anche direttamente dal Tesoro dello Stato – e composta anche dalle Ferrovie, dall’Eni, dalla Boeing e dalla Delta Airlines come partner strategici. Le Ferrovie, per le evidenti sinergie commerciali che andrebbero sviluppate integrando, sulla terraferma e a livello commerciale, le tratte internazionali con i collegamenti ferroviari; l’Eni, per assicurare una linea di forniture di carburante preferenziale se non prezzi per efficienza; la Boeing, per permettere di acquistare, anche qui con le modalità agevolate tipiche di un rapporto tra parti correlate, 15 nuovi aerei da lungo raggio; e con la Delta, per sviluppare i collegamenti con il Nord America. Probabilmente al proprio interno Alitalia dovrebbe generare una low cost cui affidare il corto raggio, nelle tratte sensate.



Al vertice, un management di grandi capacità, verosimilmente lo stesso Gubitosi – che tra i tre commissari è quello che ha gestito effettivamente la compagnia in questi mesi – affiancato magari da competenze commerciali nuove. Su questa base è ovvio che la compagnia recupererebbe quella credibilità internazionale come partner commerciale che in questi mesi, commissariata, non ha potuto avere, senza per questo – miracolo nel miracolo – essere tagliata fuori dalle negoziazioni e senza per questo deteriorare le proprie performance.

Si parla poi di agevolare la rinascita costituendo un’altra – sarebbe l’ennesima – bad company dove far confluire parte del personale di terra, ma non con l’intento di chiuderla, bensì di risanare anch’essa, con la specializzazione. Un piano velleitario? Anche no, sulla scorta degli ottimi risultati commissariali. Ma capaci di suscitare il solito vespaio di polemiche. Anche perché c’è un esercito di persone che c’ha provato e non c’è riuscita, a risanare Alitalia. E che – come si dice a Roma – “rosicherebbero” non poco, constatando l’altrui successo.