Il mondo sta cambiando. Radicalmente. E noi nemmeno ce ne stiamo accorgendo. Inseguiamo notizie come cani di Pavlov, saltiamo da un’emergenza all’altra quando sono i grandi media a indicarcele, nemmeno capendo che a loro sono state indicate da chi ha tutto l’interesse a spostare l’attenzione da altro. E, spesso e volentieri, presiede i loro consigli di amministrazione. Guardate il caso turco: andava analizzato quando i movimenti sulla lira erano chiaramente rivelatori di un qualcosa in fieri, di un ricatto finanziario che stava prendendo forma. Scatenarsi in ogni tipo di più o meno dotta analisi dopo, a valuta in crollo e con le Borse a picco, non serve: quella è solo cronaca. E la cronaca è buona per essere letta quando siamo dal barbiere e c’è da attendere il nostro turno. Ma se si vuole capire cosa sta accadendo, se si vuole capire dove stiamo andando, il ruolo della cronaca è quello di foderare il fondo della gabbietta del canarino e raccoglierne i frutti. Perché è come constatare di avere la febbre, invece che coprirsi quando usciamo di casa in inverno ed evitare di prenderla. 



D’altronde, parla la realtà. La Turchia ha già smesso di essere un problema. Puff. E non per la tragedia di Genova che ha rubato spazio e preoccupazione (oltre che il solito alto grado di italico sciacallaggio politico, oltre all’attitudine al tuttologismo dalla mitica opinione pubblica, del mitico “popolo”), ma perché il 90% di chi parla di questi temi, o non li conosce o li tratta ideologicamente orientato. Nessuno vi dice qual è la reale radice del problema e, quindi, ha la necessità di trascinarvi di emergenza in emergenza come si fa con i bambini piccoli che fanno i capricci: gli si prende la mano e li si tira con paterna ma energica risolutezza dove decidiamo di andare noi. E i media, signori, nel 90% dei casi servono a questo, mica a informarvi. 



La Turchia è stata solo un sintomo di una malattia più grave. Una malattia che, però, paradossalmente il sistema non vuole che venga sconfitta, guarita, ma, anzi, che si cronicizzi, che divenga endemica: il debito. Sia esso pubblico sotto forma di deficit, basti pensare su cosa si basa la narrativa del grande boom economico statunitense, sia esso privato, vedi le emissioni record di obbligazioni da parte di cani e porci per finanziare buybacks e altre pratiche manipolatorie del mercato, azionario in testa. C’è poi il debito di sopravvivenza, ovvero il fatto che per far continuare a girare una ruota simile, il casinò globale ha bisogno di inculcarvi la sua stessa mentalità: non esiste costo della vita troppo alto, non esiste erosione del potere d’acquisto, non esiste compressione salariale. 



Esiste il credito al consumo che risolve tutti i vostri guai: perché prendere atto, contemporaneamente, non solo di guadagnare troppo poco per il lavoro che si svolge e che l’iPhone ultimo modello non solo non ci serve, ma costa davvero uno sproposito scandaloso? Eh no, così facendo saltano le fondamenta stesse del sistema. Perché rovinarsi vita, fegato e rapporti con moglie e figli, delusi dai continui no alle loro richieste, quando si può tranquillamente avere tutto, indebitandosi, pagandolo un po’ alla volta e garantendo al sistema un triplice guadagno? Primo, paghi gli interessi, spesso sotto forma Tan e Taeg degni degli strozzini. Secondo, diventi schiavo a vita di rate mensili che sono veri e propri riscatti temporanei della propria libertà di scelta, pagati ogni fine o inizio e mese e che ci garantiscono serenità presunta fino alla prossima rata. Terzo, eviti che la gente prenda coscienza del mondo in cui vive, delle condizioni in cui versa. E non per ideologiche rivendicazioni tardo-ottocentesche, ma per l’unica scelta consapevole di ribellione che esiste: colpirli nel portafoglio. Ovvero, smetterla di cambiare smartphone ogni sei mesi, tv e automobile ogni anno e mezzo, scarpe ogni due settimane. Volete capire la radice dei guai che abbiamo ancora di fronte, nonostante tutti tirino il fiato per lo scampato pericolo turco? Guardate questi quattro grafici, dentro c’è tutto. 

 

I primi due, a mio avviso, sono addirittura sconvolgenti. Ci mostrano come, nel primo caso anche facendo riferimento alla ricerca del termine “liquidità in dollari” sui motori on-line, otteniamo una correlazione perfetta di andamento tra il dollaro e il Vix, ovvero il cosiddetto “indice della paura” del mercato borsistico, storicamente ormai ai minimi storici da trimestri interi. E il perché è presto detto: finché c’è la certezza che le Banche centrali saranno il backstop più o meno invisibile del mercato, perché mai dovrebbe esserci volatilità? Ma il mercato, per quanto lo si possa fare fesso con i vari Qe, è testardo. E che tu stia distruggendo tutto e lastricando le strade per l’inferno finanziario te lo fa sapere ugualmente, a modo suo: così, mostrandoti che se anche comprimi artificialmente, fino quasi a farlo sparire, il concetto di volatilità (quindi, di rischio), lui te lo mostra in altro modo. Ovvero, evidenziando la scarsità di liquidità in dollari presente nel sistema. Di fatto, un proxy. 

E, visto che voi non siete stupidi, avete già capito il senso: cosa ha fatto andare fuori giri, in una settimana, una lira turca che era sotto pressione da almeno due anni e un’economia che certo fino a sei mesi fa non poteva fare concorrenza a quella tedesca? I suoi enormi debiti esteri denominati in dollari, i quali erano tali anche sei mesi fa, ma non avevano due criticità sul groppone con cui fare i conti. Primo, l’aumento del costo del denaro e drenaggio di dollari dal sistema connesso al processo di normalizzazione posto in essere dalla Fed, la quale non solo ha alzato i tassi, ma anche cominciato la “dieta” del suo stato patrimoniale, drenando dollari attraverso le sue vendite di assets, obbligazioni in testa. Secondo, l’indebolimento ulteriore (in questo caso sì, tutto figlio dell’attacco speculativo) della lira turca sul dollaro, dinamica che rende il costo del servizio di quei debito in biglietti verdi molto più alto. E, quindi, meno sostenibile. Et voilà, il gioco è fatto, l’emergenza turca (che non è tale, essendo uno stato cronico di quell’economia) è servita per i gonzi davanti ai teleschermi o sfoglianti i quotidiani, in attesa che da gonzi ci si trasformi in parco buoi a cui scaricare le azioni che gli stessi media vi stanno vendendo come destinate a continui rialzi e che invece la cosiddetta smart money vuole togliersi dai bilanci, finché valgono ancora qualcosa. 

Lo chiamano mercato, qualche idiota ha anche il coraggio di scomodare formule populiste come “liberismo selvaggio” o “turbocapitalismo”, ma qui di libero e di mercato non c’è nulla: è l’apoteosi del debito e della pianificazione finanziaria delle Banche centrali, siamo all’Unione Sovietica degli indici e degli spread. Ce lo mostra bene il terzo grafico, quello che ci illustra plasticamente il livello di dipendenza del mondo dal dollaro e il grado di “sete” di biglietti verdi a cui siamo giunti: e come si risponde alla sete? Bevendo. Ma qui non basta un bicchiere, né una bottiglia. Serve un’intera cascata per bere alla fonte. Serve nuovo Qe, quello che vi dico da trimestri e trimestri, almeno dall’elezione di Donald Trump, non a caso finito alla Casa Bianca con una missione chiara: squassare talmente tanto gli equilibri da garantire il ritorno, più o meno controllato, della recessione globale e garantire via libera alle Banche centrali. Il tutto, coperto dall’alibi della sua gretta stupidità e della follia umana, tanto per sviare i sospetti dai mandanti e dai soliti noti. 

E funziona, visto che la strategia ha dato vita e diffuso in mezzo mondo il cosiddetto sovranismo, di cui Donald Trump è appunto il vertice dell’iceberg, ovvero il travestimento delle élites in occasione del carnevale della stupidità populista. A volte mi viene da pensare che le oligarchie facciano bene a bastonare le opinioni pubbliche, perché come dicevano i padri, ignorantia non excusat. Ed eccoci al quarto e ultimo grafico, quello che ci mostra, in base a questa logica, all’estremizzazione dell’ordine finanziario mondiale, il vero elefante nella stanza del debito estero in dollari, delle catene della moderna schiavitù globale: l’Asia. E, attenzione, quella cifra che vede, esclude la Cina. 

Non vi viene in mente qualcosa? Ovvero che, in atto, ci sia la suicida e potenzialmente mortale volontà delle élites finanziarie, Usa in testa, di prendere i proverbiali due piccioni con una fava? Ovvero, far soldi a palate e garantire al dollaro il rafforzamento del suo stato di moneta-ricatto, più che moneta benchmark e, contemporaneamente, provare a colpire il vero, grande nemico – ovvero Pechino -, destabilizzando l’area di sua influenza diretta (il Giappone è sotto Qe pesante e Tokyo, francamente, non sarebbe affatto disturbata da una crisi in piena regola che le faccia aumentare ancora la follia monetarista, visto che il giochino comincia a funzionare sempre meno) per costringerlo a un Qe senza precedenti per evitare che il suo colossale schema Ponzi di Stato trascini sé e il mondo nel baratro? 

Attenti, perché l’operazione di intorbidimento delle acque non potrà che peggiorare, da adesso in poi. Cercate di non cascarci, perché siamo allo snodo epocale. Ma epocale davvero.