È proprio vero che, a volte, il destino prende la scorciatoia. Per pietà, perché forse ritiene migliore l’eutanasia dell’accanimento terapeutico. O per obbligo morale, perché certe agende sono talmente malate fin da principio che appare salutare salvare almeno le apparenze. Avendo già venduto l’anima. Il crollo del ponte Morandi a Genova non è stata soltanto una tragedia umana immane, è stata la pietra tombale sull’esperienza di governo. È l’atto prodromico al 1992 in versione 2.0 che, in nome di un’eterogenesi dei fini quanto mai beffarda ma chiara fin da principio a chi non abbia le fette di salame sugli occhi o interessi in ballo, il cosiddetto “governo del cambiamento” sta apparecchiando ai soliti noti, oltretutto travestito da Robin Hood in nome della lotta alle élites e ai privilegi. Sia chiaro, quei morti gridano vendetta e non c’è possibilità al mondo che qualcuno mi faccia credere alla fatalità: è stata noncuranza criminale, è stato un imperdonabile errore umano a reclamare quella messe di vite innocenti. E qualcuno deve pagare. Ma attenzione ai facili populismi e alle mosse a effetto. 



Ne sa qualcosa Matteo Salvini, da due giorni molto meno spavaldo del solito. E preoccupato. Molto preoccupato. Perché il ministro dell’Interno sa che il Governo è andato oltre, stavolta. E che, soprattutto, in questa occasione le danze le hanno menate in tutto e per tutto i 5 Stelle con il loro massimalismo nichilista, costringendolo al ruolo di testimonial di una follia assoluta. Ora, io di costruzioni e ingegneria non so nulla, mi piaceva il Lego da bambino ma niente più. Quindi, non mi azzardo nemmeno a lanciarmi in ipotesi relative a cosa possa aver provocato quel crollo mortale. Mi sono però documentato e voglio offrirvi la stessa possibilità, girandovi il link di un report relativo a gestione e manutenzione delle strade nell’eurozona stilato per conto del Parlamento europeo nel 2014, assolutamente preciso e onnicomprensivo e due grafici sono tutte fonti ufficiali, dati reali. Non chiacchiere. O propaganda. 



Fatevi voi un’idea, io la mia ce l’ho. Ed è solo la conferma di ciò che so da sempre. In questo Paese, quando si tratta di opere pubbliche e appalti, si ruba a livello di Paesi centroafricani. E, prima o poi, occorrerà prenderne atto e agire di conseguenza. Perché, signori miei, pur essendo anni luce distante dal giustizialismo manettaro, certe discrepanze fra quanto ottenuto dall’Ue, stanziato dallo Stato e la qualità dei servizi erogati o il numero di progetti cantierati e portati a termine (senza parlare dello sforamento dei tempi e dei costi), si spiega solo in un modo: i soldi spariscono, prendono altre vie. É matematica, non nostalgia di Mani Pulite. 



Ma non ho evocato a caso quel nome, quel periodo storico del nostro Paese. Perché lanciarsi, a ricerche ancora in corso, quando occorrerebbe solo sperare di trovare ancora qualcuno vivo sotto le macerie, in allucinanti proclami politici come quelli degli esponenti 5 Stelle di revoca immediata della concessione, per evocarla di nuovo allo Stato, è follia pura. Da qualsiasi angolazione la si guardi. Primo, a livello pratico, perché contratto alla mano, liquidare Autostrade per l’Italia significa sborsare miliardi di euro. Quindi, al danno della strage si unisce la beffa della buona uscita. Secondo, fare come ha fatto il Premier, ovvero dichiarare che non c’è tempo di attendere che la giustizia ordinaria faccia il suo corso, è una violazione dei principi cardine dello stato di diritto che somiglia molto a certe prese di posizione dei governi polacco o ungherese: il potere politico non può avocare a sé anche l’amministrazione della giustizia, perché si chiama dittatura. Per quanto odiosa possa essere o sembrare la fattispecie di reato in questione. Terzo, forse lo spirito salvifico dell’intervento statale che sembrano prospettare i 5 Stelle e il Premier è quello che, ad esempio, ci ha regalato quella perla di puntualità ed efficienza chiamata Salerno-Reggio Calabria, dove nessuno è morto semplicemente perché non transitabile per decenni? 

Prima parlavo del destino e cos’altro si può evocare, quando nel pieno della polemica – anche e soprattutto fra le forze che compongono a maggioranza di governo – sulle grandi opere (Tav e Tap in testa), accade una sciagura simile? Sembra la tragicamente beffarda sceneggiatura di un film. Ma è la realtà. Come è realtà questo grafico, a corredo ieri mattina di un brevissimo pezzo di Bloomberg: breve ma che tutti hanno letto. 

 

Il tonfo di Atlantia in Borsa, incapace di fare prezzo a Piazza Affari e poi aggiratasi attorno a un teorico -20%, era sotto i riflettori. Ma lo era soprattutto il bond di Atlantia. Anzi, i bond. E quel grafico parla chiaro: il tracollo delle obbligazioni della holding del gruppo Benetton, la quale pesa per l’8% del paniere, viene di fatto definita l’ultima delle criticità andate a sommarsi in quello che è il mercato corporate bond peggiore dell’eurozona. E sapete benissimo, visto che ho dedicato al tema più di un articolo, quanto sia delicato quel comparto, non fosse altro perché finora gli acquisti di quella particolare asset class in seno al Qe della Bce avevano garantito finanziamenti a costo zero per moltissime grandi aziende, francesi e tedesche in testa, ma anche italiane, vedi fra le altre Telecom, Terna ed Enel. 

Già a inizio luglio, l’aumento dello spread aveva portato alla cancellazione dell’emissione di un bond da 2 miliardi di Atlantia, tanto che l’azienda aveva comunicato al mercato la decisione di finanziarsi attraverso il canale bancario con un prestito quinquennale. Insomma, c’è puzza di qualcosa di sistemico. Tanto più che, colmo delle follie o inquietante precauzione, in Italia le concessioni autostradali e contratti che le regolano sono soggette a segreto di Stato, un qualcosa che in nome della trasparenza ora i 5 Stelle vogliono togliere. 

Siamo alla follia. Perché solo un folle o chi agisce in base a un’agenda chiara di interessi eterodiretti può comportarsi in questo modo, come nemmeno un branco di elefanti in una cristalleria farebbe. E Matteo Salvini lo sa, perché al mondo imprenditoriale la Lega ha fatto storicamente riferimento e già la lettera degli imprenditori veneti contro il “Decreto dignità” aveva suonato una prima, rumorosa sveglia. Cosa vi ho detto qualche giorno fa, relativamente alla dichiarazione del saggio Giancarlo Giorgetti sul rischio di attacco speculativo dei mercati a fine mese? Signori, comportarsi così con Atlantia, al netto delle responsabilità che – se accertate dalla magistratura – dovranno esigere pene severissime ed esemplari, significa istigarlo quell’attacco, stimolarlo, evocarlo. Crearne i presupposti, scoprendo il tallone d’Achille volontariamente. 

Matteo Salvini lo ha capito: pensava di essere più furbo, di aver risolto la questione del consenso elettorale con la sua manfrina sui porti chiusi e invece non aveva messo in conto che i 5 Stelle sono davvero pronti allo sfascio, al gioco al massacro, pur di non abbandonare il potere, ma, anzi, per accentrarne sempre di più. Matteo Salvini è un populista, un venditore di fumo. I 5 Stelle, invece, sono pronti veramente al martirio per imporre la loro folle ricetta. Al martirio o, come penso, al sacrificio rituale del Paese per conto terzi. Ospite a In Onda su La7 la sera di Ferragosto, Matteo Salvini ha tentato più volte di minimizzare la questione del ritiro delle concessioni, ridimensionando la portata delle parole di Conte, Di Maio e Toninelli, parlando di un processo di revisione generale che si apriva e che potenzialmente poteva portare a quell’epilogo drammatico sì, ma solo come extrema ratio. E, soprattutto, più avanti nel tempo. I 5 Stelle, invece, parlano la lingua del non compromesso e non dialogo, sono giudice e boia, hanno già emesso sentenza e comminato la condanna. 

Il Governo è alla frutta, ormai, ma il problema è che lo stesso destino, temo, toccherà al Paese prima di Natale. Il continuare a ribadire la sua presenza a San Luca nel giorno della tragedia, il suo sottolineare quell’atto concreto di lotta alla criminalità organizzata nella Calabria martire (e ieri fare appello “al buon cuore” di Autostrade affinché facessero un gesto di buona volontà – ad esempio, sospendere i pedaggi – verso il Paese e verso le famiglie delle vittime «in attesa delle sentenze»), quando Telese e Parenzo gli chiedevano conto della revoca delle concessioni e del fatto che quella drastica ricetta avrebbe aggravato potenzialmente la situazione per lo Stato e i cittadini, ci ha detto tutto. Almeno, lo ha detto a me. 

Siamo di nuovo in campagna elettorale, ma, questa volta, non piove sul Paese. C’è il diluvio in arrivo. Chi ha voluto la nascita di questo Governo, compiendo oltretutto il capolavoro di ammantarlo di vocazione al martirio in nome del popolo sovrano e mettendo nel mirino nientemeno che il Quirinale e la Bce come promotori di un complotto dei poteri forti europeisti, è un genio. Del male ma un genio. Ora basterà scuotere, anche senza troppa energia, il già debole albero chiamato Italia e attendere che cadano gli ultimi frutti maturi. Senza fatica. 

E il fatto che ieri, a bagno di sangue in Borsa ampiamente in atto, i 5 Stelle abbiano un po’ corretto il tiro, parlando di «revoca delle sanzioni solo se ci sono le condizioni», non fa che aggravare il quadro e confermare la mia idea. Perché o sono dei dilettanti allo sbaraglio al limite del criminale o lavorano per conto terzi, ancorché indirettamente: alternative non ce ne sono, a meno di non voler appellarsi alla semi-infermità mentale. E non so quale delle due ipotesi sia peggio per il Paese. 

Spero che ora, al netto della malafede o di qualche interesse privato in quell’apoteosi dell’atto pubblico che è il governo del Paese, tutti abbiano capito quale sia il mandato di questo esecutivo e della sua componente grillina e para-grillina. Anche su queste pagine.