Com’è difficile l’arte divinatoria in tempi così complicati. All’inizio di agosto uno dei più avveduti e capaci commentatori del mercato, in forza presso una grande Sim, aveva azzardato una previsione: sui mercati di qui a fine mese regnerà la calma. Perciò è l’ora di imbastire qualche iniziativa per poi ritirare i remi in barca all’approssimarsi delle scadenze d’autunno, a partire dal giudizio delle agenzie di rating sulla manovra italiana. Primo appuntamento il giorno 31 con il verdetto di Fitch, in attesa del d-Day: il 7 settembre, data del giudizio di Moody’s che già parte da un outlook negativo sul Bel Paese.



La cronaca si è incaricata di anticipare i tempi delle preoccupazioni, scandite dal forte aumento dello spread, che ormai veleggia sui massimi non solo nei confronti della “carta” tedesca, ma sui Bonos della Spagna: la forbice, che veleggiava attorno ai 60 punti prima delle elezioni italiane, venerdì ha toccato quota 175, conferma che l’Italia resta la grande sorvegliata speciale in attesa delle elezioni europee della prossima primavera. Mario Draghi, di sicuro, metterà in opera tutte le sue arti per frenare l’ascesa dei tassi europei e garantire la liquidità necessaria anche dopo la fine degli acquisti del Quantitative easing. Ma il sentiero è davvero sempre più stretto.



La lezione dell’estate 2018 è che non esiste di questi tempi un focolaio di crisi, per lontano e remoto che sia, che non minacci quel che resta della stabilità finanziaria italiana. Il prossimo siluro può arrivare dalla crisi turca che minaccia di incendiare lo scacchiere mediorientale, già incandescente di suo, oppure dall’esplosione dei debiti delle società cinesi, potenzialmente una mina drammatica anche per Wall Street. Oppure, sotto la pressione dell’aumento dei tassi Usa per volere della Fed, la crisi può arrivare dai mercati emergenti, incapaci di sostenere l’indebitamento crescente in dollari sempre più cari (la vera causa della crisi turca).



Qualsiasi emergenza, per lontana che sia, rischia di essere la causa scatenante di un possibile collasso della situazione italiana. Per una ragione semplice: l’attenzione dei governanti, per giunta in competizione tra loro, è tutta rivolta all’acquisizione di consensi in vista di una possibile resa dei conti. Di qui la corsa ai colpi a effetto, non ultima la “punizione esemplare” nei confronti di Autostrade per l’Italia trascurando che in questo modo, otre ai Benetton (e ad alcune migliaia di azionisti minori di Atlantia), verranno colpiti i soci cinesi di Silk Road e l’Allianz, ovvero i grandi investitori che un anno fa hanno investito sulle infrastrutture italiane.

L’autunno, insomma, promette di essere difficile. A complicare il quadro contribuisce l’aumento del costo del denaro Usa, considerato necessario dalla Fed almeno per fornire i mezzi necessari per fronteggiare una recessione prossima ventura che la Borsa comincia a prezzare: il rialzo di Wall Street riguarda ormai in pratica solo alcuni colossi della new economy, ma il resto del mercato, finora sostenuto dalla riforma fiscale di Trump e dalla pioggia dei buybacks, segna il passo. La Cina, impegnata nel duello sui dazi con gli Usa, non è più una locomotiva della crescita, come dimostra tra l’altro il calo del petrolio e delle altre materie prime. L’Unione europea, scossa alle radici dall’avanzata dei populismi, sembra incapace di trovare un accordo con il Regno Unito sulla Brexit che non si traduca in un disastro per entrambi.

Tutto sembra andare per il peggio, dunque. Ma, come abbiamo visto, le previsioni il più delle volte, non si traducono nella realtà. Chissà, qualcosa andrà bene, anzi meglio.