L’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica è stato tra i primi a fare i conti in tasca a Lega e Movimento 5 Stelle dopo la redazione del contratto di Governo. Le misure in esso contenute hanno un costo superiore ai 100 miliardi di euro, a fronte di coperture previste per 500 milioni. Oggi le forze di maggioranza sembrano intenzionate a varare una Legge di bilancio che persegua gli obiettivi del contratto di Governo, conciliandoli con la stabilità delle finanze pubbliche: una missione che, visti i numeri suddetti, sembra impossibile da realizzare. Anche su questo tema Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio Cpi, oggi ospite del Meeting di Rimini, ha accettato di rispondere alle nostre domande.



Oggi a Rimini parteciperà a un incontro dal titolo “Come si risparmia. Le risorse per lo sviluppo”. Partiamo da qui: come si può risparmiare favorendo lo sviluppo?

Ci sono tante cose che si possono fare. Io avevo messo a punto un piano sulla spending review che cercava di evitare tagli in aree prioritarie e necessarie per assistere chi davvero ha bisogno di risorse pubbliche, ma che mirava anche a rendere la spesa più efficiente, cioè a fornire gli stessi servizi a un prezzo più basso, a partire, per esempio, dagli acquisti della Pubblica amministrazione. Questa forse è stata l’unica riforma strutturale che è stata cominciata quando ero Commissario per la revisione della spesa, tramite la centralizzazione degli acquisti. Però è una riforma che sta procedendo troppo lentamente. 



Cos’altro aveva previsto e cosa si può fare per risparmiare?

Si possono evitare duplicazioni nei servizi della Pubblica amministrazione, ci sono cose che lo Stato compra dall’esterno e che potrebbe invece produrre al suo interno. 

Per esempio?

I servizi di sicurezza vengono spesso effettuati tramite guardie giurate, quando abbiamo un numero di agenti di polizia superiore a quello di altri paesi. Per andare avanti in un riassunto rapidissimo di cosa si può fare, si può citare anche l’efficientamento energetico degli edifici pubblici. Infine, c’è una parte della spesa erogata dallo Stato che non si capisce se va a chi ne ha davvero bisogno o no: bisognerebbe andare a controllare voce per voce.



Il nuovo Governo sembra intenzionato a dar vita a un congelamento nominale della spesa, con l’esclusione di sanità, scuola e ricerca, e a una revisione delle tax expenditures. Sono provvedimenti che vanno nella giusta direzione?

Ho sentito parlare di tagli di spesa ai ministeri, ma bisognerà vedere di che cosa effettivamente si tratta. Il timore è che si proceda con tagli lineari, senza quindi fare davvero delle riforme. Per quanto riguarda le tax expenditures, ben venga una loro revisione, in modo da poter togliere un sussidio, tramite riduzione fiscale, a chi non ne ha bisogno. Però occorre specificare chiaramente quali tax expenditures si vogliono andare a tagliare.

Ridurre la spesa farebbe scendere il deficit e, conseguentemente, il debito pubblico. È un risultato che si può ottenere insieme alla necessaria crescita del Pil?

Sì, si può e tanti paesi l’hanno fatto. Sul sito dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani abbiamo indicato nove paesi avanzati che hanno ridotto tra gli anni Novanta e Duemila, prima del 2007, il debito pubblico fino a 50 punti percentuali e hanno continuato a crescere. L’importante è farlo, in primo luogo, nei modi giusti, tagliando quindi le spese che non servono alla crescita, e, in secondo luogo, se possibile, in modo graduale. Se si aspetta, infatti, l’ultimo istante, o il momento di una crisi, per fare misure di emergenza, allora diventa più difficile sostenere il processo di crescita.

A proposito di misure di emergenza, l’Osservatorio sui Conti pubblici italiani ha spiegato che la manovra di Monti ha avuto effetti positivi sul bilancio dello Stato…

Abbiamo detto che se non ci fosse stata la manovra di Monti il rapporto tra debito pubblico e Pil sarebbe aumentato più rapidamente di quanto è poi avvenuto…

Una voce fuori dal coro, Professore, visto che molti sostengono il contrario…

Senza dubbio una voce fuori dal coro, proprio per questo ci è sembrato appropriato fare quelle stime, perché ci sono interpretazioni che secondo me non sono valide. 

Per esempio?

C’è chi sostiene che la manovra di Monti ha causato un aumento del rapporto debito/Pil, visto che ha continuato a salire negli anni. La nota che abbiamo scritto è su questo punto specifico: la manovra di Monti ha ridotto il deficit, ma vista la situazione il debito è comunque aumentato; tuttavia, se non ci fosse stata la manovra di Monti, il rapporto debito/Pil sarebbe cresciuto anche di più.

Non si può, però, dimenticare che la manovra di Monti ha fatto scendere il Pil.

Monti è stato chiamato perché il Pil stava già cadendo. Nell’ultimo trimestre del 2011 stava scendendo a una velocità annualizzata di 4 punti percentuali, una caduta enorme, perché lo spread era arrivato quasi a 600 punti base: in una situazione del genere le banche non riescono a prendere a prestito, le imprese non ricevono credito, l’economia si ferma. E perché lo spread era andato a quei livelli? Perché il debito pubblico era troppo alto. C’era stata quindi troppa poca attenzione per i conti pubblici prima del 2011. Certo, il taglio della spesa e l’aumento delle tasse della manovra di Monti non hanno fatto nell’immediato bene al Pil: prima del secondo trimestre del 2012, infatti, ha continuato a scendere. Ma c’era un’alternativa? Poteva Monti aumentare la spesa per sostenere l’economia? La sua azione ha consentito alla Bce di abbassare i tassi di interesse e insieme a essi lo spread. L’interpretazione comune è quindi, secondo me, sbagliata.

Torniamo al presente, l’Osservatorio sui conti pubblici italiani ha evidenziato i costi, alti, delle misure del contratto di Governo. Misure che l’esecutivo sembra intenzionato a inserire, seppur come avvio, nella Legge di bilancio, pur rispettando i vincoli di bilancio. Sembra un paradosso…

In effetti non c’è coerenza tra le due cose, ma ritengo che un qualche compromesso sarà trovato. Non credo che questo Governo approverà una Legge di bilancio palesemente insensata, che faccia subito aumentare lo spread, causando immediatamente una crisi. Credo che adotterà una politica che porterà il deficit a un livello solo un po’ più alto dell’attuale. Penso che si renda conto che fare il contrario, cioè portare il deficit al 3-4% del Pil, causerebbe una crisi immediata. Se anche però limitasse l’aumento del deficit, non è che i problemi poi sparirebbero. 

In che senso?

Un deficit al 2% del Pil non consente comunque una riduzione del debito/Pil a una velocità adeguata per proteggerci da possibili rischi futuri. Per esempio, il fatto che ci sia una recessione in Europa, e quindi in Italia, che avrebbe come conseguenza anche una nuova crescita del rapporto debito/Pil. Il che davvero scatenerebbe una crisi di fiducia.

Ritiene che possa esserci una riedizione del 2011?

Sì, temo che sia possibile. E le conseguenze sarebbero anche più gravi. Quindi credo che sia necessario muoverci per tempo, comprarci una sorta di assicurazione facendo scendere il rapporto debito/Pil in modo graduale, senza fare troppa austerità. È una cosa che si sarebbe dovuta fare già ai tempi del Governo Renzi nel 2015, quando l’economia è tornata a crescere. Le entrate che ci sono state in più, insieme a un contenimento della spesa (non una sua riduzione), potevano essere destinate a ridurre il deficit e il debito. Invece le maggiori entrate sono state usate per ridurre la pressione fiscale. Questo però ha voluto dire sacrificare gli obiettivi di finanza pubblica.

Perché pensa ci potrebbero essere conseguenze anche peggiori rispetto a quelle del 2011?

Il rapporto tra debito pubblico e Pil è più alto, il nostro reddito non ha ancora recuperato i livelli, in termini pro capite, del 2010, le banche sono ancora oberate da crediti in sofferenza e poi, soprattutto, quell’azione che alla fine è arrivata nel 2012, quell’abbassamento dei tassi di interesse da parte della Bce, potrebbe non essere ripetuta se l’Eurotower fosse governata secondo principi diversi. Tra un anno non ci sarà più Draghi e potrebbe esserci qualcuno che potrebbe dire: abbiamo dato all’Italia sei anni di tassi di interesse bassi perché mettesse in ordine i conti, ma non l’ha fatto; adesso un ulteriore aiuto diventa impossibile. 

Andiamo incontro allo scenario greco?

Non so cosa voglia dire lo scenario greco, ma è chiaro che se ci fosse una crisi come quella del 2011, una perdita di accesso al mercato per l’Italia non sarebbe da escludere. Ma sarebbe una catastrofe per l’economia mondiale, non soltanto per noi.

Il suo ultimo libro si intitola “I sette peccati capitali dell’economia italiana”. Uno di questi è rappresentato dalla difficoltà a convivere con l’euro: dobbiamo cambiare noi o può cambiare anche la moneta unica?

È soltanto l’Italia che vuole cambiare in maniera sostanziale le regole europee, perché fondamentalmente vanno bene a tutti gli altri paesi, tranne forse la Grecia, che però adesso sta crescendo. Quindi mi sembra che modifiche delle regole europee saranno difficili. Ci potranno essere dei cambiamenti, ma non fondamentali. Mi piacerebbe certo vedere anche modifiche sostanziali. 

Di che tipo?

Per esempio, credo che sarebbe importante avere un bilancio dell’Ue molto più grande di quello attuale, che possa svolgere un’azione anti-ciclica a livello centrale, aiutando in questo modo anche i paesi che hanno meno spazio fiscale per sostenere con la propria leva pubblica l’economia. Però credo che questo non succederà. Dal punto di vista pratico, quindi, ritengo che la cosa necessaria è che noi ci adeguiamo non alle regole europee, perché non sono i parametri di Maastricht o il Fiscal compact il problema (su tali regole c’è stata data moltissima flessibilità). Quello che davvero conta è che da quando siamo entrati nell’euro abbiamo perso competitività, soprattutto nei primi dieci anni. I nostri costi di produzione sono aumentati troppo. Adesso non è più così, in termini di variazioni siamo in linea con quello che dovrebbe essere lo spirito di condividere una moneta unica con la Germania, cioè rimanere competitivi. Ma ci portiamo dietro quel fardello di perdita di competitività che si è accumulato nei primi dieci anni dell’euro.

Quindi dobbiamo andare avanti ad aumentare la nostra competitività.

Sarebbe sbagliato farlo tagliando i salari. Quello che dobbiamo fare è ridurre i costi di produzione per le imprese, cominciando dal costo della burocrazia, che ha un peso enorme sulle imprese. Se poi riducessimo, per esempio, l’evasione fiscale e con quanto ricavato abbassassimo le aliquote, renderemmo le imprese che già adesso pagano le tasse più competitive. Quando dico che dobbiamo cambiare intendo dire realizzando queste cose, quelle che ho trattato nel mio libro. 

Dopo l’incarico di formare un Governo che ha avuto a maggio, risponderebbe ancora positivamente a una chiamata del Presidente della Repubblica, semmai dovesse arrivare?

Guardi, io ho sempre detto che per un italiano è un onore servire il proprio Paese in qualunque posizione, poi dipende da che cosa si viene chiamati a fare, tenendo conto che non si possono fare cose che sono palesemente contrarie ai propri convincimenti. Io ero stato chiamato per guidare un Governo tecnico con l’obiettivo di portare il Paese a nuove elezioni e mi sembrava una cosa ragionevole. Quindi dipende da cosa si viene chiamati a fare. 

(Lorenzo Torrisi)

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