Dalle cronache e dalle analisi sull’immane tragedia che ha colpito Genova e l’Italia tutta, mancano due elementi che le autorità e le commissioni d’indagine dovrebbero approfondire: 1) il “paradosso di Allais” (dal nome del Premio Nobel per l’Economia, 1988, Maurice Allais, che nel 1953 lo presentò a una conferenza internazionale sul rischio a Parigi dopo averlo dimostrato teoricamente e testato empiricamente); 2) i nessi tra il crollo del ponte e i ritardi nella Tav Torino-Lione già documentati nel 2006-2008.
Andiamo con ordine. Il “paradosso di Allais” dimostra che decisori razionali tendono a prendere decisioni che sono in conflitto con le utilità che ci si aspetterebbe che vorrebbero massimizzare. Le vicende del ponte mostrano un intero catalogo del “paradosso”. Da anni studiosi dell’Università di Genova sottolineavano che le tecniche di progettazione e costruzione del manufatto erano obsolete ed esse stesse comportavano vari rischi. Un anno fa, uno studio del Politecnico di Milano aveva avvertito di anomalie tra quelli che in linguaggio non tecnico possiamo chiamare i pilastri portanti del ponte.
C’erano state interrogazioni in Parlamento. Questi e altri avvertimenti erano stati rivolti alla concessionaria, al “superiore Ministero”, ai Governi pro-tempore, agli enti locali. Tutti soggetti la massimizzazione della cui utilità sarebbe stata quella di evitare crisi e di assicurare il collegamento tra le due grandi aree di Genova. Nessuno di questi soggetti ha reagito. Non solo: una forza politica, oggi nella “stanza dei bottoni”, ha derubricato nel proprio sito ufficiale a una favoletta questi rilievi. Era troppo impegnata, da circa due lustri, a bloccare quel passaggio a Nord Ovest chiamato “la Gronda” che, se iniziato per tempo, avrebbe rappresentato un’alternativa al ponte Morandi e ne avrebbe in ogni caso alleggerito il carico da portare.
Le cronache genovesi dicono che lo stesso fondatore del movimento a cui si richiamo i vari comitati No Gronda sarebbe sceso in campo con il peso della sua autorevolezza e – affermano di maliziosi – per fare acquisire consensi alla sua creatura. Neanche i No Gronda hanno pensato che ove mai i loro leader fossero stati al potere quando si sarebbe dovuto chiudere il ponte Morandi (nessuno pensava alla tragedia che si è verificata) sarebbero stati i governanti pro tempore a trovarsi con il cerino in mano (le rivendicazioni e accuse nei confronti di chi li ha preceduti – dice un proverbio francese – durano “lo spazio di un mattino”). La casistica, benché limitata, è un’ulteriore dimostrazione del “paradosso di Allais”, ossia che decisori razionali tendono a decidere contro i loro stessi interessi. Creando guai a se stessi e agli altri – sussurrava il delizioso Allais (1911- 2010) che ho avuto modo di conoscere negli anni Sessanta e rivedere negli anni Novanta del secolo scorso.
Andiamo al nesso con la Tav. Avendo curato (senza committenza e a puro livello scientifico) un’analisi costi benefici della Tav, discussa a livello internazionale a un congresso scientifico a Berlino, mi è stato chiesto di ricordarne i risultati e gli esiti dal quotidiano Avvenire in un commento pubblicato il 31 luglio. In quella sede ho ricordato che i ritardi nella realizzazione della Tav stavano comportando forti diversioni di traffico verso la Riviera Ligure e la Costa Azzurra, tanto che la Francia era scesa più volte in campo per accelerare i lavori. I vari Comitati No Tav hanno la stessa matrice dei Comitati No Gronda: sono contrari alla modernità, appartengono a quella cultura studiata per anni da Luciano Pellicani, professore emerito alla Luiss e uno dei rari sociologi italiani i cui libri sono tradotti all’estero. I nemici della modernità alla lunga vengono sconfitti, ma nel contempo commettono danni. Anche gravi.
In analisi costi-benefici della Tav realizzate alla fine dello scorso decennio si sottolineava come le diversioni di traffico avrebbero danneggiato l’ambiente nella Riviera Ligure e Costa Azzurra, ma non si erano valutati adeguatamente i danni alle persone e alle cose causati dall’aumento del carico sulle infrastrutture. L’argomento – è vero – venne accennato da economisti e ingegneri francesi, ma non ricordo che ci fossero controparti italiane che potessero offrire quella che i tecnici chiamano una “testimonianza di stato” sulle infrastrutture liguri.
Inchieste amministrative e giudiziarie ci diranno, forse, chi sono stati i responsabili amministrativi e giudiziari della tragedia. Ma come dice il doge genovese Simon Boccanegra, nell’omonima opera verdiana,, quelli politici si toccan per le chioma. Difficile capire perché non abbiano già dato le dimissioni. Che il “cambiamento” promesso voglia dire tornare in era pre-moderna?