Cosa bisogna fare per risolvere il caso Autostrade? Revocare o non revocare la concessione? Lasciare la gestione all’attuale concessionario, magari in base a una concessione differente e una volta quantificati e pagati i danni? Riprendere la gestione in mano pubblica, “nazionalizzare”, come si è impropriamente detto? Oppure mettere a gara la concessione per selezionare il miglior gestore possibile? Vi sono tante scelte da fare e diverse opzioni per ogni scelta, ma al momento è prematuro cercare di rispondere a questi quesiti tutti assieme. Conviene invece metterli in ordine, partendo dal più urgente e dando a esso una risposta. Questo metodo permetterà di passare poi al secondo con le idee molto più chiare e, una volta data la seconda risposta e fatta la seconda scelta, proseguire coi successivi.



La prima questione è indubbiamente se revocare o meno la concessione, un caso che è regolato dalla stessa convenzione sottoscritta nel 2007 tra Autostrade e Anas. Vi sono due fattispecie: una revoca per scelta unilaterale del concedente, ad esempio perché vuole ritornare a una gestione pubblica diretta, oppure per giusta causa. Il primo caso è regolato dall’art. 9 bis della convenzione nel quale si dice che in caso di recesso, revoca e risoluzione della convenzione anche per cause non dipendenti dalla volontà del concedente Anas, quali ad esempio l’applicazione di nuove disposizioni di legge, il concessionario ha diritto a titolo di indennizzo il pagamento del valore attuale al momento della revoca di tutti i ricavi futuri sino al termine della concessione al netto dei relativi costi. Questa clausola, trattandosi di volontà od obbligo del concedente e non di giusta causa, può sembrare equa, tuttavia non si può non citare cosa avviene in base al Jobs Act nel caso del licenziamento senza giusta causa di un normale lavoratore dipendente. In questo caso il datore di lavoro se la cava, per un rapporto che duri dallo stesso tempo della concessione di Autostrade, col versamento di due anni di stipendio. Invece per licenziare il concessionario Autostrade il suo datore di lavoro pubblico dovrebbe versargli ben 24 anni di guadagni.



Il secondo caso, che è di maggior interesse in quanto riferito alla decadenza della concessione per giusta causa, è invece regolato dall’art. 9. Il testo prevede la decadenza per persistente grave inadempienza del concessionario qualora esso non provveda alla sua cessazione, ma anche in tal caso il concessionario ha diritto a essere immediatamente indennizzato di tutti i profitti che avrebbe conseguito nei 24 anni residui della concessione, un valore che è stato stimato in questi giorni da diversi analisti tra un minimo di 8 e un massimo di 20 miliardi. Pertanto non vi è alcuna differenza tra cessazione della concessione per giusta o ingiusta causa. In entrambe le fattispecie i profitti futuro sono identicamente garantiti.



Questa garanzia dei profitti per il monopolista autostradale è di sicuro interesse per il normale lavoratore italiano il quale può essere licenziato dal suo datore anche per ingiusta causa e compensato con pochi mesi di stipendio mentre il concessionario Autostrade non può essere licenziato dal concedente neppure per giusta causa, dopo ad esempio che ha dimostrato di non essere in grado di gestire in sicurezza la rete che gli è stata affidata. Per comprendere ancora meglio l’assurdità di questa clausola immaginiamo che anche il contratto di lavoro del comandante della nave Costa Concordia Schettino avesse una regola simile: il tal caso l’armatore al momento del licenziamento avrebbe dovuto versargli tutti gli stipendi futuri sino all’età del pensionamento. Essa appare giuridicamente insostenibile in quanto protegge il concessionario dai corretti effetti economici negativi in cui dovrebbe incorrere a causa dei suoi inadempimenti, indipendentemente dalla loro gravità e dai danni che essi possono produrre. La revoca della concessione dovrebbe essere la sanzione più consistente a carico del concessionario inaffidabile, ma in questo caso essa equivale a nessuna sanzione. In quali altri contratti pubblici o privati sono mai state inserite clausole del genere? E come ci si può in conseguenza liberare di un concessionario che abbia dimostrato di non essere in grado di svolgere adeguatamente i suoi compiti, garantendo in primo luogo la sicurezza della rete su cui transitano i suoi utenti?

Cosa dovrebbe fare il Governo in carica di fronte alla clausole capestro che i suoi predecessori hanno permesso che venissero inserite nella concessione e che essi stessi si sono premurati di approvare tramite un decreto interministeriale? Far finta di nulla, girarsi dall’altra parte nel timore dell’indennizzo miliardario, di lunghe controversie giudiziarie e delle critiche degli organi di stampa che già si sono già premurati di indirizzare a difesa degli interessi del monopolista? Quello che si aspettano i cittadini, quelli che rischiano di essere licenziati per ingiusta causa con pochi mesi di stipendio di indennizzo, è l’esatto contrario, che uno Stato forte rimuova una situazione insostenibile, che licenzi Autostrade non concedendo un indennizzo ma chiedendolo e che trovi una soluzione per garantire la sicurezza della rete, tariffe ragionevoli per gli utenti e guadagni equi per il gestore. Chiede due cose molto semplici e comprensibili, chiede efficienza e chiede giustizia, nulla di più, due cose che il tragico evento di Genova ha dimostrato che non gli sono state garantite.

Ho già sostenuto in precedenti occasioni che ho seri dubbi sulla validità giuridica della clausola che prevede l’indennizzo nel caso di decadenza per giusta causa. Come noto, i contenuti di un contratto non sono del tutto liberi, dato che debbono rispettare prescrizioni imperative stabilite dalla legge. Non so se è questo il caso, ma ritengo che in un contratto una parte non possa esentare preventivamente l’altra dalle conseguenze economiche di qualsivoglia suo scorretto comportamento e rinunciare preventivamente al diritto di interrompere un contratto che prevede prestazioni continuative per un lunghissimo periodo, corrispondente a più decenni, nel caso in cui il prestatore si riveli palesemente inadatto. Nel caso specifico il caso è aggravato dal fatto che ad aver sottoscritto la clausola capestro è un soggetto pubblico in favore di un soggetto privato. Peraltro tale contratto è stato recepito in un decreto interministeriale e la Corte dei Conti, che esercita la vigilanza sul concedente Anas, sembra non aver rilevato nulla di problematico. Non c’è che dire, l’interesse pubblico è stato davvero ben custodito.

Ma anche se la tragedia di Genova non si fosse verificata, la concessione del 2007 è insostenibile per una serie di altre ragioni che analizzeremo in una prossima occasione. Essa avrebbe in conseguenza richiesto comunque una profonda revisione e una sua anticipata disdetta da parte dello Stato. Anticipo la ragione principale: in quasi quaranta pagine di norme contrattuali la parola “sicurezza” non compare neanche una volta. Non è sostenibile in un atto in cui lo Stato affida a un privato per più di un terzo di secolo quasi tremila km di rete autostradale.

Infine, un cenno alla parola “nazionalizzazione” che ha fatto un’impropria irruzione nel dibattito. In realtà la rete gestita da Autostrade è ed è sempre stata pubblica. Non si può dunque parlare di nazionalizzazione in presenza di qualcosa che non è mai stato privato e che lo Stato, essendo suo, ha il pieno diritto di riprendere in gestione diretta se lo ritiene. Una scelta di questo genere può essere giudicata opportuna o meno, ma non ha nessuna anomalia. È la stessa cosa di un privato che ha dato in locazione un immobile e alla fine del contratto decide di riprenderlo per sé.