Il Governo ha segnalato, attraverso le recenti dichiarazioni dei ministri Tria e, in particolare, Savona, la volontà di attuare una politica economica attiva e non passiva. Una politica passiva prenderebbe atto che la crescita prevista per il 2019 è attorno all’1%, considerando che l’impatto della turbolenza globale sull’export e sugli investimenti esteri in Italia farà perdere circa lo 0,5% del Pil stimato in precedenza. E si rassegnerebbe a ricalcolare l’equilibrio di bilancio riducendo le risorse per lo sviluppo, come fatto dai governi precedenti, giustificando questa staticità e passività con il fatto che la “via è stretta”, cioè che il peso del debito non permette azzardi perché questi metterebbero a rischio la fiducia da parte del mercato finanziario.
Una politica economica attiva, invece, punterebbe a stimolare investimenti pubblici e privati per aumentare la crescita del mercato interno, contrastando l’eventuale calo dell’export, e a convincere sia il mercato, sia l’Ue che la crescita 2019-20 sarà più elevata, ricalibrando in base a un calcolo più ottimistico l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito. Questa sembra la via che il Governo sta studiando.
Da un lato, non potrà essere larga perché il mercato non accetterebbe uno squilibrio di bilancio, cioè una stimolazione con deficit troppo elevato e reagirebbe aumentando i costi di rifinanziamento del debito o perfino disertando le aste. Dall’altro, potrà essere un po’ meno stretta. Fattibile? Le risorse già stanziate per investimenti pubblici sono notevoli (110 miliardi circa in un decennio) e si tratta di liberarle aprendo più velocemente i cantieri. Ma tale categoria di investimenti ha effetti differiti nel tempo sulla crescita. Per ottenere effetti rapidi bisognerebbe stimolare più investimenti privati.
Quanto? In tutto almeno 40 miliardi, di cui un terzo investimenti pubblici e due terzi privati. Se ciò avvenisse, il Pil 2019-20 andrebbe oltre il 3% nominale e il 2% al netto dell’inflazione, numero sufficiente per ottenere l’equilibrio di bilancio e un miglioramento del rapporto debito/Pil che convincerebbe il mercato e le agenzie di rating ad aumentare la fiducia sull’Italia, senza dover applicare il rigore statico e depressivo.
Poiché non si può escludere che sia possibile, pur difficile, e la miglior prassi di politica economica prescrive reazioni attive e non passive al rischio di stagnazione/recessione, chi scrive ritiene che questo tentativo del Governo, se confermato, sia la via giusta e meritevole di sostegno.