Perché gli investitori stranieri, che detengono un terzo circa del nostro debito pubblico, hanno cominciato a vendere i Btp in loro possesso (oltre 70 miliardi in due mesi, secondo i dati dei Bollettini della Banca d’Italia)? E soprattutto quali sono le prospettive per il futuro? Stiamo, cioè, andando verso una stagione di progressiva difficoltà di collocamento dei nostri titoli di Stato e di rifinanziamento del nostro debito pubblico in scadenza? O si tratta di un fenomeno temporaneo legato ad alcune vicende puntuali come la fine del Quantitave easing e le incertezze sulla piega che prenderà la politica monetaria americana?
La seconda ipotesi – ossia quella di un movimento temporaneo connesso a eventi puntuali in gran misura esterni all’Italia – sarebbe quella auspicabile e preferibile. Basta, però, scambiare due parole con qualche amico a Pimco, il maggiore gestore mondiale di fondi obbligazionari, per rendersi conto che la prima ipotesi – quella della “grande fuga” (per parafrasare un film del 1963 di grande successo riproposto spesso in televisione) è la più plausibile.
Non si tratta di gnomi di Zurigo (vi ricordate le imprecazioni del Presidente americano Richard M. Nixon quando i movimenti di capitale facevano traballare il dollaro Usa?) o dei “poteri forti” (spesso accusati di fare il bello e il cattivo tempo nella finanza internazionale) di qualche “grande burattinaio” (che intende fare cacciare dalle stanze dei bottoni il Governo legittimamente eletto dagli italiani), ma di miriadi di risparmiatori, spesso piccoli, che temono per il futuro dei loro investimenti.
L’esecutivo giallo-verde non ha mai avuto una vera e propria “luna di miele” con la finanza internazionale (che di più veniva accusata a giorni alterni di ogni sorta di nefandezze da uno dei due vicepresidenti del Consiglio). I mercati sono rimasti cautamente a osservare nella speranza che venissero amalgamate due realtà politiche molto differenti nonostante fossero riuscite a stilare e firmare un “contratto di governo”.
La mancanza di fiducia si fa palese oggi perché due gravi tragedie nazionali (il Ponte Morandi e il Pollino) non sono state – come sarebbero dovuto essere – la molla per coagulare la nazione e a maggiore ragione l’Esecutivo e la maggioranza parlamentare su obiettivi comuni e una rotta per raggiungerli. Al contrario, hanno evidenziato nuove fratture specialmente all’interno del Governo. Sino a qualche settimana fa, gli osservatori stranieri sussurravano fellinianamente E la nave va – e quasi si contentavano di non sapere dove, e con quale tragitto – alla stesura della Legge di bilancio. Oggi l’impressione è che la nave non va e non sa dove andare.
Tale impressione è rafforzata dagli indizi che all’interno del Governo ci siano crescenti preoccupazioni per la finanza e il debito pubblico. Mentre il consigliere di uno dei Ministri economici predica in televisione, ogni due giorni, che occorre aumentare il deficit, e quindi il debito, per finanziare un inesistente programma d’investimenti pubblici, il ministro dell’Economia e delle Finanze si reca in Cina – Paese che conosce bene – per tentare di vendere quote del debito pubblico a quei cinesi che potrebbero subire una forte perdita per il loro investimento in Autostrade per l’Italia. In parallelo, un sottosegretario allo Sviluppo economico, che ha vissuto, insegnato e fatto affari nel Celeste Impero, va anche lui a Pechino con l’intento di vendere il 49% di Alitalia, diversi porti e anche sviluppare progetti comune nel digitale. Per gli osservatori stranieri, specialmente coloro che detengono Btp, tutto ciò ha il sapore di operetta. E di grande confusione.
Agli episodi citati, se ne aggiungono numerosi altri quali lo scontro tra uno dei vicepresidenti del Consiglio e il Presidente della Camera (il quale per il suo ruolo di arbitro dovrebbe restare neutrale) in materia d’immigrazione, il vero e proprio caos in tema di politica previdenziale, il problema irrisolto della Presidenza Rai, il ritorno di velleità nazionalizzatrici di alcuni esponenti dell’Esecutivo e la difesa delle privatizzazione da parte di altri. E via discorrendo.
Come farà un Esecutivo siffatto – si chiedono i detentori di Btp – ad affrontare una Legge di bilancio che, prendendo alla lettera “il contratto di governo”, richiederebbe una spesa addizionale di 90-100 miliardi di euro? Come potrà affrontare una trattativa con l’Unione europea? Non avendo risposte, vendono. E la rottura con l’Ue sul tema immigrazione, oltre all’aumento dei tassi annunciato a Jackson Hole, non possono che aggravare il rischio di detenere titoli di stato italiani.