Per la prima volta ieri è stato reso pubblico “l’allegato E” della concessione di Autostrade per l’Italia. Il documento è stato pubblicato in mattinata sul sito della concessionaria controllata da Atlantia. È molto probabile che se non fosse stato per la tragedia del crollo del ponte Moranti e per le polemiche sulle concessioni autostradali che sono seguite non avremmo mai avuto la possibilità di consultare questo documento; l’allegato E, per la cronaca, è la parte più importante della convenzione in cui vengono esplicitati gli elementi della remunerazione degli investimenti. La pubblicazioni di questi documenti è un elemento importante per qualsiasi riflessione seria sul tema delle concessioni di cui alcuni pezzi, soprattutto quelli “storici”, rimangono ancora oggi di difficilissimo reperimento.



Qualunque cosa si pensi di concessioni e dintorni la novità di ieri è un elemento positivo perché appare sempre più evidente la necessità di rivedere lo schema finora adottato in tema di concessioni autostradali. Soprattutto, ci sembra, ci sono alcuni punti che stanno emergendo chiaramente: l’eccessiva remunerazione degli investimenti a fronte di un rischio che, nello schema attuale, è sostanzialmente un mero rischio “estremo” di collasso economico senza un vero rischio imprenditoriale/industriale; la mancanza di concorrenza che deriva dalla proroga senza gara; l’incentivo che il concessionario sicuramente ha a spendere a prescindere da qualsiasi analisi dato che ogni euro speso determina un rendimento estremamente interessante, garantito da un monopolio e senza veri rischi.



Prendiamo per esempio l’allegato B della convenzione del 2013 in cui si calcola il rendimento per gli investimenti e si arriva al 10,21% lordo all’anno. Si prende a riferimento un costo del capitale di quasi il 9% (8,97%) prendendo a riferimento un anno, il 2012, in cui il decennale italiano rendeva il 5,5% mentre per tutto il periodo 2013-2017 si è avuto un rendimento medio inferiore al 3% (nel periodo 2008-2011 eravamo vicini al 4%); si considera un costo del debito del 7% mentre il costo di finanziamento di Atlantia è stato, per alcune emissioni, inferiore al 2%; si assume un rapporto tra mezzi propri e debito singolare visto che i nuovi investimenti vengono fatti a debito. In sostanza si determina un rendimento che è più del doppio di quello sarebbe potuto essere di mercato; se consideriamo però che l’attività è oggettivamente priva di rischio potremmo tranquillamente arrivare alla conclusione di un rendimento quasi triplo.



Prendendo a riferimento l’allegato E possiamo fare alcune simulazioni su alcuni dei principali investimenti fatti negli ultimi anni sulla rete autostradale e scoprire che se avessimo usato rendimenti più in linea con le condizioni “reali di mercato” (la metà), ogni euro investito avrebbe reso la metà con un conseguente risparmio sui pedaggi. In questo modo le infrastrutture sono costate all’utente anche il doppio di quello che sarebbe accaduto con rendimenti più contenuti.

Le previsioni di crescita del traffico si sono rivelate più prudenti di quello che si è effettivamente registrato. La banda entro cui il concessionario si “appropria” dell’errore, 1%, sembra minima, ma il cumulato dà origine a numeri significativi. Questi conti non toccano il tema dello sfasamento temporale tra tariffa e investimenti che molti hanno sottolineato, per esempio, per il periodo dei primi anni 2000.

La domanda con cui si può, forse, riassumere la questione è questa: chi non vorrebbe avere il 10% garantito per due decenni indebitandosi al 2-3% con in più la protezione sull’inflazione? Oltretutto sulla base di concessioni estremamente favorevoli che sostanzialmente mettono al riparo da rischi operativi e imprenditoriali. L’obbligazione che si offre potrebbe finire tra i premi di una lotteria. Su queste basi si comprende, più in generale, anche una certa corsa a riammodernare autostrade già pronte. Mantenere questo approccio rischia di creare una situazione in cui le decisioni sull’opera sono svincolate da qualsiasi valutazione in una sorta di percorso alla rovescia che parte dal rendimento e che oltretutto finisce con il rendere le autostrade o troppo costose per l’utente oppure eterne in un esproprio di fatto di un bene che non è mai stato privatizzato ma solo dato in concessione. Il primo intervento sarebbe quello di bloccare qualsiasi rinnovo senza gara e a Genova, in concreto, fare un ponte più capiente nel minor tempo possibile esattamente dove era prima, evitando in tutti i modi di ipotecare rinegoziazioni future.

La situazione migliore è quella di uno Stato non concessionario, ma ottimo controllore e veramente indipendente, come struttura, nei confronti del concessionario con concessioni molto più equilibrate nel rapporto rischio rendimento. Se questo non è possibile, meglio lo Stato concessionario che è comunque meglio di quello che abbiamo visto fino a oggi. Lo Stato che partecipa come ospite di minoranza nella concessione, senza correttivi importanti allo schema di fondo, sarebbe il peggio e agirebbe nei fatti come un’assicurazione sulla vita del concessionario.