La pubblicazione dei nuovi documenti sulla concessione autostradale di Atlantia non ha dato tutte le risposte a chi si interroga sulla enorme creazione di valore che è stata determinata dalla gestione della principale rete autostradale italiana. All’appello, sia sul sito della società che su quello del ministero, mancano i documenti più vecchi, quelli di fine anni ’90 inizio anni 2000 con cui si è prolungata la concessione al 2038. Ci rendiamo conto che questa rincorsa al documento possa essere difficile da capire, ma è fondamentale per chiunque voglia fare un lavoro serio sulla questione. Non è “bello” che i documenti escano con il contagocce solo dopo una tragedia e che si sia obbligati a una ricerca archeologica su un bene che rimane pubblico.
Più scaviamo, più ci convinciamo che quello che è successo, in termini economico-finanziari, è il prodotto di un vizio che sta all’origine della concessione. Chi ha pensato la concessione non ha introdotto alcun elemento di correzione rispetto ai piani finanziari. I piani finanziari in cui si assume un certo rendimento per gli investimenti e un certo traffico possono essere, ovviamente, smentiti dalla realtà. Il mondo che circonda l’autostrada può cambiare anche radicalmente e così le condizioni economiche generali. Negli ultimi 20 anni ci sono state almeno quattro fasi che hanno determinato un prima e un poi nella storia economica e non solo: l’introduzione dell’euro con inflazione e crollo del costo del debito, l’11 settembre 2001, il fallimento di Lehman nel 2008 e la crisi dei debiti sovrani nel 2011-2012.
La questione è questa: cosa succede se cambiando lo scenario economico il concessionario si ritrova con un extraremunerazione, per esempio perché il costo del debito crolla (2008-2018), perché il traffico è molto migliore delle stime (periodo 1997-2002) o perché c’è una deflazione sostanziale? La questione non è affatto banale, perché per la natura dell’attività gestita dal concessionario stradale la società ha una capacità estrema di imporre il proprio prezzo sull’utente. Siccome l’autostrada è un monopolio e siccome non ci sono alternative, l’utente pagherà sempre e non è nella condizione di trovare un’alternativa. È come se si decidesse che il prezzo dell’acqua è un euro al litro e poi improvvisamente il Pil scende del 10% all’anno; il consumo di acqua continuerà a quel prezzo anche se salari e costi sono scesi enormemente.
L’origine del problema è la divaricazione che si crea tra previsioni del piano e realtà quando non c’è alcun meccanismo di correzione. Così i rendimenti oltre il 10% degli ultimi 5 anni sono stati mantenuti anche con un costo del debito sotto il 2% e un’economia a pezzi; l’extraprofitto determinato da un traffico inelastico è rimasto nelle tasche dei concessionari con gli utenti che si ritrovano una tariffa, in alcuni casi, sempre più proibitiva. Per Atlantia il caso è diverso e l’origine dell’extraremunerazione risale probabilmente agli accordi originari, quelli di fine anni ’90 inizio anni 2000, che nessun Governo, non si comprende per quale motivo, ha voluto correggere o affrontare. Nemmeno quando diventava chiaro che il concessionario si sarebbe ritrovato con una remunerazione considerevolmente superiore a quella, già generosa, delle previsioni.
Su un bene come le autostrade che è vitale per l’economia e che l’utente, soprattutto se industriale, non può non pagare, si deve immaginare una pressa del pubblico, come controllo e come capacità di aggiustamento rispetto al mutare delle condizioni macro, molto più stretta di quella che c’è ora. Non è giustificabile che su un monopolio così fondamentale si generino extraprofitti colossali pagati dall’utente che non ha alternative.
Come si possa correggere questa impostazione è una questione non banale; come minimo vorremmo la massima trasparenza sulla storia dei rapporti tra concedente e concessionario. Una cosa è certa: se lo Stato non riesce a darsi uno schema efficace con cui controllare e arginare il privato concessionario, allora la statalizzazione diventa un’opzione seria; non perché sia il meglio in senso assoluto, ma semplicemente perché è comunque meglio di quello che abbiamo visto finora. Dato che la rete è statale e solo data in concessione per un certo numero di anni, non è accettabile che questo “prestito”, di un’attività sostanzialmente senza rischio, possa determinare l’esplosione delle tariffe, al punto che ormai certe tratte del nord sono un vero e proprio lusso, o profitti da capogiro per chi le gestisce con i concessionari italiani che si ritrovano con tali risorse da lanciarsi in campagne di acquisizioni miliardarie in giro per il mondo.
Si è perso per strada o in questo caso sull’autostrada, l’interesse dell’utente e più in generale dello Stato e del sistema-Paese. Privato sì, extraprofitti o extratariffe no.