Ieri il “rischio Italia” si è palesato sul mercato sotto forma di un aumento dello spread e del rendimento del decennale arrivati a livelli che non si vedevano da quasi due mesi. Non servono riflessioni particolarmente geniali per mettere in fila alcuni elementi e concludere che ci sono i presupposti per “un aumento della volatilità” sul mercato italiano. Il quadro internazionale è sicuramente peggiorato e gli interventi americani su dazi e tariffe con la loro sfida per il modello europeo e per il surplus commerciale italiano sono solo una parte dello scenario.
Questo però non è il problema di fondo. L’Italia non riesce a trovare una via per la crescita e da anni si accontenta di raccogliere le briciole della crescita globale occupando costantemente gli ultimi posti tra i Paesi europei. Quando le cose vanno bene nel mondo in Italia vanno meno bene e quando vanno male in Italia vanno ancora peggio. L’Italia non si è mai ripresa dalla crisi del 2008 e da quella del 2012 e a questi ritmi serviranno molti anni solo per tornare al punto di partenza mentre gli altri sono andati avanti. A questo si unisce un debito che, con una crescita così anemica, non scende mai.
Questa situazione di stasi si produce in un contesto globale positivo, ma è un equilibrio instabile perché il contesto globale può anche peggiorare e a quel punto ci si accorge che l’Italia ha un debito molto alto, una disoccupazione a due cifre e stenta a ritrovare la via della crescita. A ogni tornante dei mercati globali l’Italia si ritrova suo malgrado al centro del palcoscenico con tutte le magagne ben illuminate e gli investitori che fanno due più due quando devono scegliere su chi puntare, al ribasso, per fare la performance. Aggiungiamo che la banca centrale italiana non sempre ha dimostrato una solerzia eccezionale nel rintuzzare attacchi speculativi che rischierebbero di mettere in moto circoli viziosi anche in economie più sane.
Pensare che si possano risolvere problemi che durano almeno da un decennio con una finanziaria è una follia. Anche la migliore delle finanziarie possibili o dei governi possibili avrebbe bisogno di una difesa esterna in un momento di fragilità oggettiva. Oggi poi è chiaro che in uno scenario di deterioramento o di “speculazione” o di aumento dello spread si metterebbe in moto, probabilmente, lo stesso meccanismo del 2012. Un giro di “austerity” con cui comprare la copertura dell’Unione europea.
Ieri Zerohedge mostrava un bel grafico che evidenziava come la crisi greca sia la più lunga depressione della storia. Ora, i greci hanno le loro gravi colpe, ma rimane il fatto che nell’attuale quadro non ci sia una soluzione al problema greco. Solo un pazzo può pensare che la Grecia con l’economia a pezzi possa ripagare un debito che sta al 180% del Pil e magari farlo con i “tagli” e le efficienze. Non che i tagli e le efficienze non servano, anzi, ma un po’ di buon senso indica che senza un qualche tipo di rottura, di politica anticiclica che autonomamente la Grecia non si può dare, non c’è una soluzione al problema.
Per l’Italia il futuro oggi è quello greco. Se a settembre la finanziaria non piace, o non piace la crescita, o non piace il contesto internazionale e lo spread va a 500 ci ritroviamo nella stessa situazione del 2011 e subiremo le stesse conseguenze del 2011, perché né l’Europa, né l’Italia sono cambiate, con una austerity da cui si esce con l’economia a pezzi e 10 punti di debito su Pil in più. Che l’Italia abbia ampissimi margini di efficientamento è noto, soprattutto, spiace dirlo, in alcune regioni dove la macchina pubblica è fuori controllo. Rimane la questione di come e cosa fare per ritornare a una crescita sana che non si vede almeno dal 2007 e forse da ancora prima e di come evitare, nel frattempo, che la speculazione rovini tutto impedendo qualsiasi possibilità di risalire la china.
Abbiamo perso industrie, anche chiave, banche, assicurazioni, fabbriche nell’assenza totale di politica industriale che gli altri facevano, all’occorrenza, fregandosene bellamente delle regole europee; basti dire che il terzo principale azionista di Psa oggi è lo Stato francese e che buona parte del sistema bancario tedesco è al riparo dalle regole della Bce. Non siamo in grado di scommettere su grandi opere infrastrutturali o su settori di avanguardia mentre tutti gli altri intorno a noi fanno ragionamenti di sistema Paese selezionando, eventualmente, anche settori dove si possono perdere soldi pubblici. L’euro con le sue rigidità assolute, quelle che fanno divaricare la performance economica di Svezia e Finlandia, due Paesi non particolarmente mediterranei, non ci aiuta. Uscire da questa situazione in un contesto emergenziale o senza la possibilità di fare politiche anticicliche o industriali è impossibile. Risolvere la disoccupazione giovanile oltre al 50% in regioni come la Calabria con “l’austerity” espansiva è ridicolo.
Diciamo questo non per fare terrorismo psicologico e nemmeno per sembrare più intelligenti di quel poco che siamo, ma per rendere l’idea di quale sia la sfida che ci aspetta. L’Italia deve convincere i mercati, innanzitutto, non che il debito scenderà a tempo record, ma con una ricetta credibile per tornare a crescere che è l’unica condizione per ridurre il debito. E non si può prescindere da mostrare la buona volontà di eliminare alcune prassi impresentabili. Per fare questo serve una mano esterna, dall’Europa, o da chiunque sia in grado di darla, e un progetto di crescita credibile.