Ha iniziato l’Ocse, qualche giorno fa, ricordando che l’Italia è l’unico Paese del G7 che nel secondo trimestre dell’anno ha registrato un rallentamento della crescita: da +0,3% a +0,2%. L’altro ieri, poi, l’Istat ha segnalato che ad agosto è peggiorato il clima di fiducia di famiglie e imprese: l’indice che misura la fiducia dei consumatori è sceso da 116,2 di luglio a 115,2, mentre l’indice composito del clima di fiducia delle imprese è passato da 105,3 a 103,8. Da ultimo, infine, con l’arrivo dell’autunno, si profila all’orizzonte una nuova raffica di rincari di stagione: tariffe, benzina, spese per la scuola, bollette di luce e gas e – novità di quest’anno – anche di pasta, pane e biscotti, a causa dell’incremento del costo del grano, legato alla lunga siccità che ha falcidiato i raccolti. Insomma, un mix di sfiducia, bassa crescita e inflazione. Uno scenario, spiega Luigi Campiglio, professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano, che “è destinato a incancrenire ancor più una situazione già incancrenita da dieci anni di crisi, con il rischio anche di maggiori conflitti sociali o di una guerra tra poveri, come in parte sta già accadendo”.
Professore, tra crescita che rallenta, clima di fiducia che peggiora e aumento dei prezzi in arrivo, che autunno sarà per le famiglie?
Il problema è che continuiamo ad avere un tasso di crescita marginale. Diventa ormai quasi imbarazzante fare un’analisi economica, perché, dopo dieci anni di crisi con due-tre di crescita anemica, come si può parlare di ciclicità dell’economia? È un po’ come strapazzare concetti e parole. Ciò che sta avvenendo in Italia non ha a che fare con un normale ciclo economico. Dalla crisi iniziata nel 2008 si sono ormai cronicizzati una serie di problemi che, almeno finora, non siamo riusciti a risolvere.
La legge di Bilancio, per quanto ancora tutta da delineare, potrebbe aiutare?
In linea di principio, il reddito di cittadinanza si presenta come una garanzia di reddito minimo a fronte di un quadro davvero precario del Paese, mentre la flat tax è la risposta al fatto che la pressione fiscale è ormai arrivata a livelli anomali. La situazione che si è venuta a creare in Italia è che l’aumento della pressione fiscale negli anni ha pesato fortemente sull’economia e sui comportamenti di consumo e di investimento. Una volta che gli errori sono stati fatti, bisogna prenderne atto e cercare di sanarli.
È possibile?
La prima questione che la legge di Bilancio dovrà affrontare è quella della compatibilità con le promesse elettorali. Reddito di cittadinanza e flat tax hanno una loro fondatezza, ma se guardiamo alla situazione economica complessiva europea, ci sono pochi margini per manovre ambiziose, salvo che si immaginino manovre redistributive all’interno di questo quadro, ma temo che ciò possa creare squilibri di altro genere, a partire da una latente conflittualità interna, perché ci sono molte famiglie che nel corso di questi dieci anni si sono trovate a vedere il loro reddito costantemente eroso da un’inflazione sì bassa, tant’è che abbiamo avuto anche tassi negativi, ma che adesso vede avvicinarsi il target del 2% fissato dalla Bce. Solo che nella situazione di difficoltà e precarietà attuali, su questo obiettivo vedo un bel paradosso.
Quale?
Il target della Bce è al 2%, ma perché non è il 3% o l’1%? Perché, all’inizio, quando stava per entrare in vigore l’euro, quel livello aveva un fondamento: in un’economia dinamica, dove tutti i fattori si muovono, è normale che ci siano settori che salgono e settori che diminuiscono, e un 2% di aumento dei prezzi avrebbe consentito alla macchina dell’economia di essere oliata. Questo era il ragionamento.
Oggi invece?
Adesso è una soglia “sbagliata”. Ormai dopo dieci anni di congelamento complessivo della componente reddituale delle famiglie, quel tasso di inflazione, allora sopportabile, oggi, facendo la somma, ha prodotto un impatto che si sente: vuol dire un 10-15% di erosione del proprio potere d’acquisto per moltissime categorie.
Anche l’obiettivo del 2% di inflazione andrebbe ridiscusso?
Diciamo che allora si sono accettati degli obiettivi senza discuterli, senza che ci fosse quel minimo di istruttoria che consentisse di ragionare. Ricordiamoci che c’è un’inflazione buona e una cattiva. Quella buona deriva dal fatto che c’è una domanda aggregata che sale in modo brillante e ben più dell’offerta produttiva, il che apre margini per aumenti di prezzi che sono “accettati” in quanto aumentano anche i redditi. Ma se la produttività ristagna e il prezzo del lavoro è bloccato, l’inflazione lascia il segno. Piuttosto andrebbe sottolineato un aspetto legato agli aumenti, anche sensibili, dei prezzi.
Che cosa intende dire?
Che l’aumento della pressione fiscale oggi prende diverse forme che non sono solo quelle delle tasse, dirette e indirette, o dei contributi sociali. Se un Comune o una Regione aumenta i prezzi per trasporti o sanità, vuol dire che, supponendo che il proprio bilancio sia sano, i trasferimenti dello Stato non sono sufficienti. Ci sono tagli. Ma se aumento i prezzi perché il bilancio dello Stato fa fatica, quello che cos’è? Appare come aumento dell’inflazione, ma quello è come una tassa. Stiamo, dunque, attenti, perché può accadere che l’incremento dei prezzi di fatto nasconda un inasprimento della pressione fiscale.
Restiamo su prezzi e inflazione. Per le famiglie sono in arrivo rincari a raffica. Avranno un impatto su crescita della povertà e delle diseguaglianze?
Inevitabilmente. La crisi che sta colpendo il nostro Paese, anziché essere un’esplosione di febbre violenta, è più una febbre costante, che ci trasciniamo da ben dieci anni. I rincari in arrivo costringeranno molte famiglie a cercare di spostare la composizione qualitativa del carrello della spesa, anche se molte continueranno a non farcela. Anzi, rischiamo di avere un aggiustamento non solo qualitativo della spesa, ma anche quantitativo, in termini proprio di quantità di cibo acquistate. Se si toccano i consumi alimentari in una situazione che è già così delicata, e nonostante l’azione meritoria di istituzioni come il Banco alimentare, le diseguaglianze sono destinate ad ampliarsi.
Come si rilancia la fiducia delle famiglie?
Siamo ormai al margine, chiedere più di quanto si sta chiedendo, in termini di sacrifici, rischia non solo di danneggiare l’intera economia, ma anche di creare conflitti interni, una guerra tra poveri, come già si comincia a intravvedere. Bisognerebbe, anzitutto, evitare di ingenerare aspettative, soprattutto se immediate, che poi diventano molto difficili da realizzare, se non in modo conflittuale. Parlo di conflitti interni, ma anche esterni, e qui penso ai rapporti tesi con l’Europa. Stiamo pagando il fatto che siamo diventati l’anello debole, seppur grande, dell’Europa. Capisco che oggi la risposta è certamente quella di riuscire a restare a galla, ma bisogna tornare a crescere. È l’unica via di uscita.
Sulla manovra del governo, però, c’è ancora confusione. Quanto può pesare sui mercati l’incertezza?
Tanto. L’ultima cosa, ma proprio l’ultima, di cui abbiamo bisogno è proprio un quadro di incertezza. Questo governo ha caratteristiche del tutto nuove rispetto al passato ed è naturale che sia, specie all’estero, osservato con maggiore attenzione, anche rispetto ad altri Paesi, come quelli dell’Est. Ma là vanno avanti come treni, con tassi di crescita robusti, noi no. Ed è una situazione da cui dobbiamo assolutamente uscire.
(Marco Biscella)