40 milioni di euro sono pochi o sono tanti? Per noi che viviamo di stipendio, sono un’enormità. Per Bill Gates una bazzecola. Ma per il Tesoro italiano, i circa 40 milioni in più che dovrà spendere ogni anno per erogare i rendimenti spuntati dagli investitori che hanno sottoscritto ieri i 6 miliardi di Btp offerti sul mercato, quanto pesano?



Già, perché ieri il Tesoro ha collocato Btp per complessivi 6 miliardi con rendimenti in crescita e una domanda che era partita molto debole ed è diventata, man mano, superiore rispetto al quantitativo offerto, proprio e soltanto grazie all’aumento dei rendimenti promessi, restando pur sempre in calo rispetto all’emissione di luglio e quindi “quadrando” solo grazie al fatto che al mercato sono stati offerti Btp a 5 anni per 3,75 miliardi al rendimento lordo del 2,44%, in rialzo di 63 punti base, e Btp a 10 anni per 2,25 miliardi a un rendimento lordo del 3,25% in rialzo di 37 punti base. Il maggior costo di rimborso annuo è, appunto, a circa 40 milioni, più o meno 400 nel decennio. Una bazzecola, a paragone con i 2.300 miliardi di euro ai quali ammonta il totale del debito pubblico. Un’enormità, invece, se si considerano alcuni dettagli non da poco.



Per esempio, che per l’emergenza del ponte crollato a Genova lo Stato ha stanziato finora circa 40 milioni: come dire che sono tanta roba. E, soprattutto, se si calcola che ogni mese il Tesoro italiano deve vendere non 6, ma almeno 36 miliardi di euro di Btp agli investitori, sei volte tanto; e 40 milioni per 6 fa 240 milioni e 240 milioni per 12 mesi fa 2 miliardi e 800 milioni di euro buttati ogni anno nella spazzatura per la necessità di convincere gli investitori a comprare i nostri titoli nonostante la confusione che regna sulla nostra politica economica.

Perché, diciamo chiaramente una cosa: questo è il punto. Il governo sta facendo troppa confusione. Chiunque oggi vada a Bruxelles, a presentare a quella bislacca Commissione europea che – con l’eccezione della sola Marghrete Vestager – altro non è che il portavoce dei falchi dell’economia tedesca e si metta a parlare, per conto dell’Italia, di non fare i tagli alle spese che aveva promesso il precedente governo, fa venire il mal di pancia all’Europa e fornisce un ottimo pretesto agli investitori per dire: non vi compriamo più alle condizioni di ieri, dovete migliorarci le condizioni. È questo che succede quando si alza lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi, che ieri ha toccato quota 285 punti.



Ma quel che complica ulteriormente questa già grave premessa è il balletto delle dichiarazioni programmatiche tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i due vicepremier e azionisti di maggioranza del governo, che ogni giorno rinnovano, anzi ampliano, le loro promesse e, dall’altra parte, più o meno silenziosi al punto da apparire tra lo sbigottito e l’ignaro, il premier Conte, il ministro dell’Economia Tria e anche il ministro degli Esteri Moavero. Che tacciono, salvo sommessamente dire ogni tanto che non succederà niente di stravolgente.

Diciamo la verità: a prescindere da quel che si dice, conta molto il modo in cui lo si dice. D’ora in poi, il governo italiano dovrebbe avere un’unica voce in materia di politica economica. Niente più altalene di indiscrezioni, fughe in avanti, vorrei ma non posso, facce feroci e numeri in libertà.

Anche chiedere tanto si può, magari rischiando, purché lo si chieda con chiarezza, pacatezza e fermezza. Il che per ora non è. Se lo spread tornasse a quota 500 e oltre, come fu nel 2011, quei 2,8 miliardi di maggior costo annuo del debito pubblico sfiorerebbero quota 10. Anzi, probabilmente il nostro debito pubblico verrebbe declassato e dovremmo remunerarlo ancor meglio, per piazzarlo. E allora addio sogni di gloria e di “cambiamento”.

Dunque: i gialloverdi imparino l’ordine, la chiarezza e la prudenza. E forse andranno avanti. Altrimenti, saranno dolori per tutti.