Il Governo ha impostato una politica economica finalizzata ad armonizzare i programmi dei due partiti di maggioranza – contrasto alla povertà e detassazione – però modulandoli in base al vincolo dell’equilibrio di bilancio. Tale orientamento riconosce la priorità di mantenere la fiducia degli attori che (ri)finanziano l’enorme debito pubblico. Se questa calasse, infatti, non solo il servizio e il rifinanziamento del debito costerebbe di più alle casse statali, ma tutto il sistema finanziario nazionale ne soffrirebbe innescando una nuova recessione.
Il tema è complicato dalla fine in autunno del programma Bce di acquisto degli eurodebiti che negli ultimi tre anni ha protetto quello italiano da crisi di fiducia e attacchi speculativi. Infatti, la maggior parte dei commenti economici nella settimana scorsa segnala l’aumento dello “spread” come il massimo rischio di breve termine. Ma bisogna anche segnalare che il governo ne è consapevole e, appunto, sta comunicando la priorità di evitarlo.
Questa, tuttavia, renderà la detassazione promessa insufficiente per aumentare la crescita del mercato interno. E se il Pil resterà stagnante nel 2019-20, il mercato sconterà comunque l’insostenibilità del debito, continuando a chiedere un premio di rischio elevato per rifinanziarlo, appesantendone sempre più l’impatto sull’economia reale. In sintesi, l’ordine contabile di breve non modificherà la traiettoria di declino dell’economia nazionale.
Per invertirla, sarebbe necessaria una riduzione secca di parte del debito pubblico, anche piccola, attraverso dismissione del patrimonio statale e locale per dare più spazio di bilancio a investimenti e detassazione stimolativa forte. Se fosse fatta, il mercato scommetterebbe su un futuro di crescita maggiore per l’Italia e ridurrebbe l’attenzione sui dettagli dell’ordine contabile annuo. Ma, pur annotando le espressioni di Tria a favore della riduzione del debito, al momento un tale progetto non è visibile.
Il Governo lascia intendere un’interlocuzione con l’Ue per ottenere più flessibilità. Ma Francia, in particolare, e Germania non hanno gradito la recente convergenza forte tra Roma e Washington, anche in materia di industria e investimenti. E non è chiaro se in vista delle prossime elezioni europee Parigi e Berlino vorranno sabotare un governo non euroconformista oppure non sfidarlo troppo per mantenere il consenso all’Europa franco-tedesca. Questo punto geopolitico appare più rilevante dei temi strettamente economici.