Un’opportunità di acquisto o l’inizio della fine? Se lo chiedevano i gestori di capitali a poche ore dall’annuncio del rating di Fitch sull’Italia (confermato il giudizio BBB ma abbassato l’outlook da “stabile” a “negativo”) che è arrivato dopo la tormentata asta dei Btp: spread in forte ascesa, ma anche una robusta richiesta di carta italiana.
Prendesse corpo l’anticipo del Def, così come lasciano intendere alcune indiscrezioni, la febbre alimentata dal balletto delle voci spesso discordanti tra loro potrebbe cessare di colpo, lasciando spazio a valutazioni meno drammatiche. I dati sul Prodotto interno lordo, ad esempio, sono seppur di poco, migliori del previsto (1,2% di crescita contro 1,1%). Anche sulla manovra finanziaria, per il poco che se ne sa, il confronto con Bruxelles potrebbe essere meno rovente di quanto non lascino intendere le dichiarazioni incendiarie della coppia di governo, in perenne campagna elettorale.
I numeri che cominciano a filtrare dalle trattative tra governo italiano e Commissione europea non sembrano particolarmente allarmanti, se si esclude la sparata del vicepremier Di Maio (e ieri anche di Giorgetti) sullo sfondamento del tetto del 3%, più una provocazione che un programma. Ma ricordiamo che l’odiata Francia di Emmanuel Macron, che quest’anno avrà un disavanzo del 2,4%, risalirà al 3% nel 2019.
Insomma, l’economia non giustifica per ora tanto trambusto. Anche perché non è affatto detto che Bruxelles (e la Germania) non sia disponibile a trattare in vista di un budget Ue più espansivo, in risposta alla minore integrazione con Washington. Di qui la tesi, senz’altro di minoranza, che sia il momento giusto per puntare sulla carta italiana, vuoi nel debito pubblico che sulle banche, che hanno pagato a caro prezzo le turbolenze di agosto. Il settore bancario, sotto del 17% da inizio anno, è trattato a 0,65 volte i valori di libro, meno della metà delle banche Usa (1,34 volte) dopo aver bruciato in un mese gli sforzi su sofferenze e non performing loans.
I più coraggiosi hanno già messo a punto la road map della ripresa. Nel mese di settembre sono attese la riunione della Bce (il 13) e la presentazione della nota di aggiornamento di Tria che potrebbe arrivare prima della data limite del 27 settembre. Draghi potrebbe essere particolarmente morbido, alla luce anche del rallentamento dell’inflazione euro ad agosto (da 2,1% a 2%). Inoltre le prossime due aste a medio-lungo sono collocate proprio in corrispondenza di queste due date chiave, ossia 13 e 27 settembre. In altri termini, questo mese potrebbe far emergere ricoperture in attesa di verificare sia le parole di Draghi sia il contenuto del Def aggiornato.
Ma anche i pessimisti hanno buoni argomenti. Il mese di agosto ha confermato sia la capacità nostrana di infliggerci del male da soli, salvo poi gridare al complotto, sia la sostanziale ignoranza dell’opinione pubblica del Bel Paese, incapace di capire il pericolo insito in un deterioramento dello spread e, a lungo andare, del suo impatto sui conti pubblici. L’Osservatorio sui conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli ha calcolato che, se si prende a riferimento il periodo maggio-agosto, l’aggravio per il bilancio pubblico è di 898 milioni di euro nel 2018 e di 5,1 miliardi nel 2019, per un totale di 6 miliardi di maggior esborso da parte del Tesoro. Ovvero, una parte cospicua delle risorse che dovrebbero avviare le famose riforme se ne è andata in fumo prima ancora di metter mano a un solo intervento che non sia la battaglia navale contro i migranti, clandestini o meno.
Tanto è costata finora la battaglia politica per assicurarsi la leadership della coalizione. O forse di più, se si pensa alla minor capacità di erogare credito da parte del sistema bancario, reso più fragile dal calo di valore dei Btp in portafoglio: 76 miliardi per Banca Intesa, 54,5 per Unicredit. Quest’estate, in appena due mesi, le banche italiane hanno aumentato lo stock di titoli di Stato nei loro attivi per circa 28 miliardi di euro. A differenza del 2011-2012, ovviamente, anche la Banca d’Italia adesso ha un portafoglio di bond governativi italiani, parte del Quantitative easing della Bce.
È solo l’antipasto di quel che ci toccherà dopo il verdetto delle agenzie di rating, specie la sentenza di Moody’s, in data 7 ottobre, che potrebbe abbassare il nostro rating di due gradi, facendoci precipitare nell’inferno dei junk bond. Un disastro all’insegna del grottesco provocato da paralisi demagogiche e velleitarie, a questo punto più dannose di provvedimenti sbagliati.
Di qui un tentativo di risposta alla domanda iniziale: il disastro non è inevitabile, ma il naufragio è più che possibile, se nessuno vuole (o può) governare la nave.