Secondo una certa scuola di pensiero, l’ipotesi di fusione tra SocGen e Unicredit sarebbe da leggere nell’ottica di uno sforzo della comunità europea per dare vita a campioni continentali che possano rivaleggiare con le banche americane. È un’ipotesi affascinante, ma che non ci convince particolarmente.



Ammettiamo di essere prevenuti, perché la creazione di campioni europei è stata spesso la scusa con cui un sistema-Paese ha messo le mani su società di un altro sistema-Paese scavalcando le opposizioni nazionali e perché queste mitiche creazioni di “campioni europei” non hanno mai travalicato le Alpi in Paesi che si sono mostrati gelosissimi dei propri campioni nazionali. Valga per tutti l’opposizione fatta a Enel su Suez. Sulla questione Unicredit-SocGen ci sembra ci siano un po’ di incongruenze.



Ogni banca, soprattutto se di grandi dimensioni, è saldamente ancorata esclusivamente a un sistema-Paese e non potrebbe essere altrimenti; la garanzia ultima e finale di un correntista, infatti, non è il capitale proprio della banca, ma lo Stato a cui la banca fa riferimento. Ammettere che un sistema-Paese non può salvare le sue banche a debito e un altro sì significa dare origine a una fuga di capitali che si sa dove inizia e mai dove finisce.

È una lezione che abbiamo imparato prima e dopo la crisi di Lehman Brothers, quando le banche europee che sono “fallite”, cominciando dall’inglese Northern Rock e passando per altre banche inglesi, olandesi, tedesche eccetera, sono state salvate, e con esse i soldi dei correntisti, dagli Stati di riferimento. È un fenomeno che ha avuto corrispettivi anche dall’altra parte dell’Atlantico.



In questo caso ci sembra manchino i presupposti “politici” per giustificare un’operazione alla pari. Il problema non è solo che i rapporti tra Francia e Italia sono ai minimi termini e che i due Paesi si stanno facendo la guerra per procura in Libia, ma che manca l’Europa, che farebbe da “base” per un’operazione di questo tipo. In altre parole, la domanda che ogni investitore si farebbe è qual è il sistema-Paese che si fa carico di questa “nuova” banca in caso di stress finanziario, e questo sistema Paese non può essere l’Europa; forse dovremmo pensare che Francia e Italia si siedano a un tavolo e facciano a metà, magari mentre si bombardano in Libia. Ma questo appartiene al libro dei sogni.

La seconda incongruenza è come mai, se l’idea è fare un campione continentale, Unicredit abbia appena venduto il suo risparmio gestito, Pioneer, a quello che è palesemente il campione nazionale francese del risparmio gestito, a sua volta controllato da Credit Agricole, Amundi. Se la traiettoria finale è fare un campione continentale che sfidi le banche americane, tendenzialmente non ci si libera di società come Pioneer. Queste operazioni che semplificano la struttura del gruppo e fanno scendere il contenuto “di sistema” di una banca normalmente sono propedeutiche a una vendita. Anche la cessione della quota di Mediobanca si potrebbe leggere con la stessa ottica di semplificazione e snellimento per rendere più facile un’operazione di apporto più che di fusione.

Pensiamo, infine, a cosa si direbbe in Francia se ci fosse un amministratore delegato italiano di SocGen, che ha appena venduto il risparmio gestito al campione nazionale italiano, in trattative con una Unicredit italiana e partecipata dalla Cassa depositi e prestiti italiana (nell’azionariato di SocGen fa capolino, giusto per mettere le cose in chiaro, la cassa depositi francese, oltre che i dipendenti) e qualcuno provasse a sostenere che si sta lavorando per un campione nazionale europeo. Non riuscirebbe a rimanere serio nessuno.