Non sappiamo se il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, vuole riprendere la tradizione di quando a Via Venti Settembre c’erano Carlo Azeglio Ciampi, Tommaso Padoa Schioppa e Giulio Tremonti: nelle prime pagine del documento di politica economica (la Relazione previsionale e programmatica -Rpp – e il Documento di economia e finanza -Def – e la successiva nota di aggiornamento . NaDef) includere una sezione su “i rischi di previsione”. Dovrebbe fare riferimento (con l’impiego di un minimo di calcolo delle probabilità) sia al quadro macro-economico di riferimento sia alle stime della manovra di finanza pubblica e alle sue ramificazioni.



Quest’anno un’analisi dei “rischi di previsione” appare quanto mai necessaria, dato che – anche se in Italia quasi non se ne parla – ci sono forti indicazioni secondo le quali si starebbero addensando nuvoloni neri di un ciclone finanziario internazionale che non potrebbe non avere effetti seri su un Paese come il nostro di medie dimensioni e con un alto debito pubblico rispetto al Pil.



Nei giorni scorsi, il Fondo monetario ha diramato uno studio (IMF Working Paper n. 18/181), in cui si passano in rassegna i principali indicatori di crisi finanziarie per un campione molto vasto di Paesi nel periodo 1970-2015 con metodologie e campionamenti differenti da quelli adottati in passato. I risultati sono statisticamente “robusti”. Applicandoli al “caso Italia”, se ne deduce l’alta probabilità di essere coinvolti in una crisi finanziaria internazionale prossima ventura.

Il rapporto Ocse 2018 Business and Finance Outlook, pubblicato il 3 settembre, mette l’accento sui principali rischi finanziari che possono “disrupt” (ossia mettere a repentaglio) l’economia mondiale. Sottolinea che la normalizzazione graduale delle politiche monetarie in un contesto caratterizzato da una crescita del debito (sia pubblico sia privato) rappresenterà un banco di prova per testare se le riforme della regolazione bancaria, che vanno cumulativamente sotto il nome di Basilea III, hanno raggiunto i loro obiettivi di assicurare stabilità e sicurezza al sistema finanziario. Anche se le regole relative alla capitalizzazione degli istituti finanziari sono state rafforzate, non è certo che possano reggere l’urto della crisi prossima ventura. Una indicazione è l’interdipendenza tra i sistemi bancari nella transazioni di titoli “sensibili” come i derivati: hanno raggiunto, nel 2017, i 532 trilioni di dollari, appena poco meno dei 586 trilioni di dollari nel 2007. Nonostante gli avvertimenti alla cautela e una nuova regolazione mirata a contenere disfunzioni.



L’area geografica da dove, secondo il documento, verrebbe la crisi probabilmente è quella Repubblica Popolare di Cina dove due missioni parallele del nostro governo si sono recentemente recate per tentare di piazzare nostri titoli di Stato e forse anche Alitalia. Dato che le versioni preliminari del rapporto sono state esaminate, verosimilmente, dal funzionario del ministero dell’Economia e delle Finanze presso la nostra Rappresentanza all’Ocse, sarebbero state più utili missioni mirate ad aiutare Pechino a rafforzare il proprio sistema finanziario che, per quanto si abbiano limitate informazioni, sembra essere in un grande pasticcio che ha suscitato moti di piazza e interventi delle forze dell’ordine.

Il New York Times ha dedicato al tema un’approfondita inchiesta. I rischi dell’instabilità finanziaria in Cina e l’alto livello di debito delle aziende – avverte il documento – rende ancora più necessaria un’attenta valutazione dei progetti del programma che va sotto il nome di Nuova Via della Seta. In materia il rapporto ha una serie di raccomandazioni specifiche. Sulla Cina, su cui, nonostante l’interazione tra le nostre banche e quelle (gonfie di crediti deteriorati) del Celeste Impero, pare sia piombato il “silenzio stampa”. E anche sull’obbligazionario americano, gonfiatosi oltre ogni aspettativa negli anni delle politiche monetarie “non convenzionali” per trainare economia e finanza al di fuori della crisi iniziata nell’estate 2007. I corporate bonds americani hanno raggiunto la strabiliante cifra di 41 trilioni di dollari. I tassi d’interesse rasoterra hanno stimolato l’acquisto di obbligazioni al tempo stesso ad alto prezzo e ad alto rischio. Dall’inizio di agosto, a Wall Street si ascolta il ritornello che «la festa sta per finire». Anche a ragione dell’aumento dei tassi.

La Cina e l’obbligazionario sono i focolai di maggiore dimensione ma, vicino a casa nostra, c’è la tempesta abbattutasi sulla Turchia, il tracollo del cambio della lira turca, il “fuggi fuggi” dalla Borsa e dai titoli di Stato, le cronache dei quotidiani riportano tutti i dettagli. Così la tesi del presidente Erdogan e del suo genero alla guida del ministero dell’Economia che si tratti di un complotto politico ispirato dagli Stati Uniti e innescato dai dazi Usa su siderurgia e alluminio. È anche nota la tesi contrapposta, secondo la quale si è gradualmente accumulata una crescente sfiducia nei confronti della politica economica “sovranista” perseguita da Ankara con una forte dose di autoritarismo e con le leve della finanza in poche mani.

C’è, poi, il focolaio dell’America Latina con l’Argentina travolta da una crisi senza precedenti (almeno negli ultimi anni) e Brasile e Venezuela – altri esempi di politiche “popolar-sovraniste” – in pessime condizioni. Specialmente con l’Argentina le nostre istituzioni finanziarie hanno legami molto stretti.

In questo quadro, in Italia si avvertono sintomi di difficoltà: le vendita, nell’arco di due mesi, di 70 milioni di euro di titoli di Stato da parte di investitori stranieri, il rallentamento dell’economia già in corso, le perplessità espresse dalle agenzie di rating, l’imminente fine del Quantitative easing e l’aumento internazionale dei tassi. In aggiunta, le due “anime” delle forze politiche che lo sorreggono non sembrano ancora coagulate in un compatto disegno coeso con obiettivi chiari e una rotta definita per raggiungerli. Lo stesso ruolo dei ministri “tecnici” pare a volte messo in discussione dai leader delle due forze politiche. I rapporti con la Ue e con i maggiori partner non sembrano essere i migliori. Il sistema bancario e finanziario ha numerose fragilità.

Anche un recente saggio di tre economisti russi, pubblicato sull’ultimo numero del periodico Comparative Economic Studies, ci pone tra i Paesi dove predomina l’incertezza e, quindi, con forte rischio sistemico. Già ora l’Institute for International Finance delinea la possibilità di una “tempesta perfetta” sull’Italia e sui suoi titoli se non vengono presto chiariti obiettivi e strumenti di una politica economica mirata al risanamento della finanza pubblica. Ossia potrebbe scoppiare prima del 27 settembre, data della pubblicazione del NaDef.

La manovra di bilancio avrebbe maggiore credibilità se ci fossero, oltre a coperture certe, anche un’indicazione di cosa il Governo farebbe in caso di ciclone finanziario internazionale o di un più marcato rallentamento dell’economia reale.