Se Time ha messo in copertina un ritratto iper-realista di Matteo Salvini – col titolo “Il nuovo volto dell’Europa”, e il sottotitolo: “Matteo Salvini, lo zar dell’immigrazione in Italia. È in missione per disfare l’Unione Europea” – una ragione ci sarà. Forse la perenne soddisfazione americana di fronte ai guai europei. Forse invece una corretta constatazione giornalistica, che i toni eternamente e antiteticamente enfatici delle analisi politiche italiane non consentono di fare ai nostri giornali, ma che s’impone a uno sguardo da lontano: senza voler stabilire chi abbia ragione e chi no, certo è che la linea dura di Salvini e anche di Di Maio, i due leader dell’attuale maggioranza di governo, sta facendo emergere con assoluta evidenza quanto oggi l’Unione Europea sia una mera costruzione finanziaria, ma non abbia le minime fondamenta comuni, né politiche né morali.
Ci voleva uno Stato fondatore come l’Italia, ci voleva uno Stato che pesa l’11% del Pil dell’Unione, con 56 milioni di abitanti, che funge da “porta” di tutti verso l’Africa, per far emergere come oggi l’Unione sia cioè una sommatoria di egoismi nazionali verniciati di convergenza politica ma pronti a smentirla a ogni passo. Peccato, però, che la sovranità devoluta dagli Stati che hanno scelto di aderire alla moneta comune non sia davvero finita nelle mani delle entità sovranazionali nominate in comune a suo tempo – il Parlamento e la Commissione europea – e nemmeno alla Bce, che non è direttamente elettiva, ma risponde comunque agli Stati, bensì a un’entità terza, diversa e senza volto: i mercati.
Per cui non ha alcuna rilevanza se sia un cafone presuntuoso come Pierre Moscovici a biasimare il Governo italiano o se sia uno straordinario professionista dall’humour inglese come Mario Draghi a pungerlo, ricordando il potenziale nocivo delle parole a vanvera: quel che risalta è che sono i mercati a comandare. E aver messo insieme 550 milioni di abitanti europei – insieme per modo di dire – col bel risultato di espropriarli tutti, in fondo tedeschi compresi, dall’autogestione delle proprie macroscelte economiche è una follia senza precedenti nella storia.
Ecco perché la trappola è senza uscita. Trappola d’oro per i tedeschi, trappola di fuoco e veleno per la Grecia – stremata dalla cura della Trojka e ridotta a colonia economica senza prospettive di ripresa ragionevolmente solide e ravvicinate – ma sempre trappola. E l’Italia è sul crinale di scelte pericolosissime. Che verosimilmente la stanno spingendo verso la cella accanto a quella greca nella “prigione per debiti” (copyright: Yanis Varoufakis) che oggettivamente è l’euro per gli Stati inadempienti.
Ieri è stata la Francia ad attaccare l’Italia, per bocca dell’intemperante Moscovici. La stessa Francia che bombardò Gheddafi senza concordarlo coi partner europei; la stessa Francia che fa sconfinare i suoi gendarmi a Ventimiglia, col mitra in pugno in territorio straniero, pur di sbarrare il passo ai migranti e impedirgli l’ingresso; la stessa Francia in cui Macron sta parlando di reddito universale; la stessa Francia che ha impedito all’italiana Fincantieri di conservare il controllo, che aveva acquistato dai coreani, di un cantiere navale a Saint Nazaire. Il Paese che incarna l’idea stessa di sciovinismo nazionalista, che usa correntemente la parola “ordinateur” per definire il computer, che si avvinghia al proprio tricolore per distinguersi dal mondo, dà agli italiani lezioni di europeismo…
Ma di fronte alle offese e agli insulti di un Moscovici qualsiasi – non tanto a Salvini e agli altri “piccoli Mussolini” europei, quanto agli elettori non solo italiani – che senso ha replicare – come pure è inevitabile – con toni contro-aggressivi come hanno fatto Salvini e Di Maio? Salvini: “Il commissario Ue Moscovici, anziché censurare la sua Francia che respinge gli immigrati a Ventimiglia, ha bombardato la Libia e ha sforato i parametri europei, attacca l’Italia e parla a vanvera di tanti piccoli Mussolini in giro per l’Europa. Si sciacqui la bocca prima di insultare l’Italia, gli italiani e il loro legittimo governo”. Di Maio: “Dall’alto della loro Commissione si permettono di dire che in Italia ci sono tanti piccoli Mussolini. Non solo non si devono permettere, ma questo dimostra come queste siano persone totalmente scollegate dalla realtà. Questo è il Governo che ha il più alto consenso in Europa e viene trattato così da commissari di una Commissione che probabilmente tra alcuni mesi non esisterà più perché i cittadini manderanno a casa buona parte degli eurocrati alle prossime elezioni”.
Che senso ha replicare a Moscovici, se non ci aiuta sul piano pratico? In teoria, certo: hanno ragione, i dioscuri italiani, a rispondere per le rime a un monumentale cialtrone come l’eurocrate francese. Ma non è di Moscovici che bisogna preoccuparsi. È dei mercati, dove ogni mese che il Signore manda in terra l’Italia ha bisogno – bisogno! – di piazzare 40 miliardi di euro di titoli di Stato, senza per questo potersi permettere di remunerarli più di adesso (che è già tanto) in termini di cedole, cioè di interessi. E i mercati – che non rispondono a Moscovici, né a Juncker, e nemmeno al presidente della Banca centrale europea Mario Draghi – comprano titoli di Stato emessi da un Paese che non accetta le regole europee scritte dai tedeschi, solo se li vedono remunerare su livelli molto più alti di quelli offerti appunto dai “primi della classe” di Berlino.
Quindi: o l’Italia obbedisce all’Europa e si allinea alle regole tedesche, ma in tal caso soffoca in un’austerity che ha già dimostrato di essere insostenibile dalla nostra economia; oppure si ribella a quelle regole, ma viene mandata a gambe all’aria dai mercati che per comprare il nostro debito ne impongono una più onerosa remunerazione, il che a sua volta – di nuovo – ci sospinge verso un’austerity insostenibile.
Ecco perché, per una ragione o per l’altra, la strada dell’austerity sembra l’unica che davvero ci attenda, e sappiamo già che non è quella che porta alla ripresa, ma all’ulteriore deperimento, come dal 2012 a oggi. Questo ha significato per l’Italia entrare nell’euro senza essere pronta e alle condizioni e al cambio impostoci all’epoca. Un errore fatale e irreversibile. A meno che… Già: a meno che non impazzisca tutta la maionese europea, e tutta insieme, creando scenari imponderabili, un caos universale nel quale tutti i gatti sarebbero grigi. Ma non è un’ipotesi né valutabile in termini probabilistici, né, alla fin fine, auspicabile.
Periodicamente qualche “futurologo” vagheggia cambi di gioco e schieramento, ipotizza scelte gravitazionali nuove, verso Trump o Putin o Xi Jinping. Ma sono soltanto chiacchiere. Neanche Trump dà ordine ai mercati, Putin non ha mercati nel suo impero e Xi Jinping pensa agli affari suoi. Nessun Samaritano comprerà i Btp italiani quando i colossi finanziari angloamericani, al prossimo downgrading del rating su di essi, imporranno al Tesoro di alzarne la remunerazione come condizioni per comprarseli, mandando ancor più gambe all’aria i nostri conti pubblici.
Certo. L’azienda Italia è la terza più ricca potenza finanziaria del mondo se la si misura col metro del patrimonio privato. Ma appunto, è patrimonio privato. E le istituzioni pubbliche del Paese arrivano alle terribili sfide di oggi prive di qualsiasi credibilità tecnica e morale. Impensabile che possano far leva su questa ricchezza per contrastare il declino. In parole povere: neanche se arrivasse a Roma il leader carismatico più amato del mondo e ci chiedesse, ottenendo consenso, il sacrificio supremo di un’imposta patrimoniale salvifica, il Sistema Paese potrebbe con essa riprendersi, tale è lo stato di decozione degli apparati pubblici che sarebbero chiamati poi a valorizzare operativamente il sacrificio dei cittadini.
Siamo uno Stato amministrativamente, politicamente e giudiziariamente smidollato, decerebrato, parcellizzato, per metà in balia delle mafie – di molte misure peggio di quanto si racconti – e per l’altra metà di una burocrazia fallita: è questo il pezzo di “storytelling” che manca nel contratto di governo: la palingenesi della macchina pubblica. Non c’hanno nemmeno provato a programmarla, sapendo che è un’impresa impossibile.