Caro direttore,
Lehman Brothers è fallita 10 anni fa, lo si legge dovunque in questi giorni. In quegli anni lavoravo per una delle grandi banche globali. Faccio però fatica a riconoscere i momenti, i dettagli e le spiegazioni che leggo da anni su quella vicenda. Mi sembra di aver vissuto un’esperienza molto diversa da quella che la stampa e molti esperti raccontano. Nell’opacità dei ricordi di quei mesi, difficilissimi per me, cerco di raccogliere qualche spunto per due considerazioni, una tecnica e una politica.



Comincio dalla prima. Il fallimento di Lehman non è stato un “black swan”, cioè un evento estremo, statisticamente parlando, e quindi del tutto imprevedibile. Il fallimento di Lehman è stato in sé, limitatamente al bilancio della banca – attenzione: Lehmann non era una banca ma un “broker dealer”, quindi soggetto alla regulation più leggera della Sec e non della Fed! Dettaglio chiave, ma molti giornalisti economici di oggi non si perdono in dettagli -, del tutto tollerabile in termini di perdite nette per il sistema e in parte immaginabile. Abbiamo forse visto di peggio, in termini di distruzione di valore, come il crollo del settore dotcom, i fallimenti di Worldcom ed Enron pochi anni prima di Lehman, il default russo in contemporanea con il disastro del Ltcm nel ’99, il default e di molti paesi asiatici tra ’97 e ’98, l’insolvenza di decine di US savings banks nei primi anni 90.



Con Lehman, i soldi persi erano relativamente pochi. Chi ha perso tanto, allora? Le controparti di credito, ovvio. Chi erano? Molte, e fortunatamente molto diversificate: migliaia di risparmiatori, ignari ma sicuramente un po’ avidi e un po’ incompetenti in materia di rischi finanziari; decine di banche spesso europee.

Quindi, primo punto, Lehman non è stata “la crisi”, ma un acceleratore della crisi. Allo stesso tempo Wall Street deve ringraziare Lehman come il salvatore del sistema, perché solo dopo Lehman, la Fed (sotto la guida di Tim Geithner) e il governo (con Hank Paulson al Tesoro) hanno preso la decisione di agire in modo radicale. Ripeto il mio punto chiave: non era un evento inatteso. Goldman, Jp Morgan, Morgan Stanley tra i molti, avevano tagliato le linee di credito a Lehman da molti mesi. Tutti a Wall Street sapevano che se una banca doveva saltare, quella era proprio Lehman, mentre per Merrill Lynch una soluzione si poteva trovare e Bear Sterns era stata “consegnata” a JP Morgan pochi mesi prima. 



Aggiungo a questo un dettaglio utile per comprendere le dinamiche di quei giorni. Un mio contatto ai vertici di una delle grandi banche d’affari mi disse poche settimane prima del fallimento: “everybody out there hates Dick Fuld, nobody will help him”. Aveva ragione. Fuld, Ceo di Lehman aveva pochi amici e in periodi di crisi è meglio essere amati che odiati. Credo molto al peso del “fattore Fuld” in questa vicenda. Nel frattempo, grandi investitori e intermediari europei continuavano avidamente a comprare dai geniali bankers di Wall Street la spazzatura dei loro bilanci bancari, inclusi prodotti Lehman e tutta la “carta subprime” che non veniva piazzata in Usa.

Vengo adesso alla considerazione politica. La colpa della mega crisi 2008-09 è stata di quei criminali-cowboys strapagati della finanza americana che hanno messo in ginocchio il mondo per la loro smodata avidità senza scrupoli? Mah, forse sì, ma a me pare un’analisi insufficiente in un contesto in cui esistono dei regulators che ignoravano o sottovalutavano l’opacità, fino alla falsificazione, dei bilanci di grandi intermediari finanziari.

L’avidità di Wall Street si monetizza in modo naturale attraverso l’incompetenza e l’avidità delle sue controparti (che sono state in quegli anni soprattutto europee, e questo, se permette, è un dato molto interessante). Sotto la spensierata regulation dei vari enti preposti, Sec e Fed in Usa, Fsa a Londra, Bafin e Bundesbank in Germania, eccetera si è costruito con facilità il più colossale castello di carte della storia. Perché quasi tutti a Wall Street sapevano da mesi che il business model e il bilancio di Lehman erano ormai destinati a fallire, tranne la Sec, la Fed e la Fsa? Lo hanno scoperto solo il weekend del 10 settembre 2008? È più meritevole di biasimo un trader senza scrupoli che prende grandi rischi e specula contro il mercato immobiliare, oppure le decine di migliaia di super-dipendenti pubblici sparsi su tre continenti stipendiati per vigilare sui bilanci degli intermediari finanziari? Tra l’altro, pagati da risparmiatori e taxpayers e non dagli azionisti di società private.

Ma c’è una seconda nota politica che si potrebbe fare. La gran parte della classe politica globale in quegli anni viveva sull’onda di una crescita drogata da debito, borsa esplosiva e mercato immobiliare residenziale in crescita senza sosta. Il sogno di ogni governo. Nessun politico aveva interesse a rallentare od ostacolare la corsa dei mercati verso il probabile crash. Meglio lasciarli andare, sperando che la bolla scoppiasse dopo qualche anno in mano al prossimo governo invece di gestire i rischi del sistema bancario e della leva finanziaria eccessiva. 

E oggi? Le migliaia di dipendenti delle autorità di controllo si sono moltiplicate ulteriormente per “controllare meglio”, si suppone; si sono aumentati gli stipendi e le loro prerogative, grazie alla politica che ora vuole rivalersi sui banchieri. Così hanno anche danneggiato molte funzioni chiave del sistema finanziario soprattutto in Europa, hanno accettato e incoraggiato la crescente influenza politica nazionale e/o europea su di loro, ma non sanno ancora spiegarci né come può fallire una qualsiasi banca popolare dell’Etruria, né come si legge il bilancio della Deutsche Bank, che è forse ancora più grave. Speriamo di non dover affrontare ancora lo stesso argomento tra qualche anno, ma in salsa tedesca e non americana.