Un passo avanti e due indietro. Il Movimento 5 Stelle e la Lega accettano di rinviare di un anno le loro due più importanti promesse elettorali, cioè il reddito di cittadinanza e la flat tax. In compenso, sarà varata una legge di bilancio che rispecchi la linea indicata da Giovanni Tria e rispetti i vincoli europei. Domenica 16 settembre siamo arrivati a questo punto. Può darsi che da domani tutto torni in discussione, ma Salvini e Di Maio sembrano confortati dagli ultimi sondaggi che collocano il gradimento del governo addirittura al 60%. Gli elettori sono disposti a dare tempo e credito all’alleanza giallo-verde, mentre segnali preoccupanti continuano ad arrivare dall’interno e dall’estero.
Il monito di Mario Draghi (basta con le parole che hanno fatto già molto danno, è ora di passare ai fatti) trova riscontro nei dati sul collocamento all’estero dei titoli pubblici (continua la vendita di Btp da parte degli operatori stranieri). Intanto giungono dall’Istat dati preoccupanti sulla discesa degli occupati a tempo indeterminato (il contrario dell’obiettivo dichiarato dal “decreto dignità”) il che spinge a ricalibrare le priorità della politica economica.
Il patto che può sbloccare l’impasse prevede che la Lega rinunci al taglio dell’Irpef spostando di un anno la riforma dell’Irpef. Meglio un intervento coerente e significativo nel 2020 piuttosto che un piccolo aggiustamento adesso del quale non si accorgerebbe nessuno e che non avrebbe alcun impatto sulla crescita: questo il ragionamento di Tria che avrebbe convinto Salvini. Non solo. Il “capitano” leghista in un’intervista al quotidiano spagnolo El Mundo (posseduto dalla Rcs) ammette che è impossibile introdurre un’aliquota unica al 15%, molto probabilmente si andrà a una semplificazione riducendo le aliquote da cinque a tre. Il loro valore percentuale per scaglioni di reddito è tutto da discutere. Lo stesso vale per il reddito di cittadinanza, che oltretutto ha bisogno di un pieno funzionamento dei Centri per l’impiego oggi come oggi senza soldi, privi di uomini e infrastrutture ben funzionanti.
Ciò non vuol dire che Lega e M5s non otterranno proprio nulla dalla legge di bilancio; ma, anziché riforme, metteranno a punto un po’ di incentivi e prebende. Sul piano fiscale, ci sarà qualcosa per imprenditori e professionisti (ampliamento del regime forfettario e super-Ires per gli utili reinvestiti) e un condono (la pace fiscale) anche se non molto ampio. Mentre per tamponare il calo di posti fissi si pensa di ridurre i contributi per i nuovi assunti, come già aveva fatto il governo precedente. Paradossalmente, l’esecutivo giallo-verde partito lancia in resta per cambiare, revocare, affossare le scelte dei predecessori, finisce per confermarle seguendo le orme di Matteo Renzi che in vista delle elezioni europee tirò fuori dal cappello gli 80 euro.
Non solo. Se le indiscrezioni finora filtrate sono corrette, ci sarà anche un cambiamento di priorità sociali: non più i giovani, bensì i pensionati. I pentastellati hanno inventato un altro slogan, la pensione di cittadinanza, mentre la Lega rifà i conti sulla quota 100 — Salvini parla di 62 anni di anzianità — e pensa al pensionamento con 41 anni e mezzo di contributi. Le cifre chiave del bilancio restano ancora ballerine. Tria ha intenzione di mantenere il deficit pubblico entro l’1,7% del prodotto lordo. Con 12,4 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e 3 miliardi per le spese indifferibili, non resta molto margine, mentre sia la Lega sia il M5s, pur avendo accantonato il grosso, chiedono 8 miliardi a testa da offrire al proprio elettorato. Ciò porta la manovra a circa 32 miliardi, pari a un disavanzo superiore ai 2 punti percentuali.
Dunque, occorre tagliare da qualche parte la spesa o trovare altre entrate oltre a quelle possibili con il mini-condono. A questo esercizio si dedicheranno nei prossimi giorni i tecnici del ministero dell’Economia. Seguiremo gli sviluppi cercando di imboccare le tortuose vie che portano alla formazione del quadro complessivo di finanza pubblica, sul quale si baserà la legge di bilancio da presentare tra due settimane. Quel che appare chiaro in mezzo a tanto fumo è che i due partiti al governo si dibattono tra spartizione elettorale e concorrenza al ribasso.
Il consenso di cui godono è come una nuvola sulla quale galleggiare. Ma l’esperienza mostra quanto sia labile e leggero il valore acqueo, pronto a precipitare sotto forma di pioggia non appena cambiano venti e temperatura. La metafora atmosferica non vale per la politica? Il passato, anche recente, dice esattamente il contrario.