Volete avere la riprova concreta del fatto che viviamo in un mondo dominato dall’ipocrisia? Dieci anni fa falliva Lehman Brothers. E cambiava un mondo. Irrimediabilmente. Un evento cosiddetto spartiacque. Almeno, così ce lo stanno vendendo da giorni (purtroppo, il timore di arrivare per secondi, ha portato in dote al mondo dell’informazione la brutta abitudine di anticipare gli anniversari di una settimana almeno): oggi sarà il D-day dell’ipocrisia. Da qualsiasi angolazione si guardi la vicenda, un assoluto bipartisan. La vulgata più diffusa, perché maggiormente assolutoria, è quella in base alla quale il fallimento di Lehman Brothers sia stata l’apoteosi del turbocapitalismo, del liberismo selvaggio portato alle sue estreme e faustiane conseguenze: balle. Il capitalismo, anzi il poco che già ne rimaneva in vita, ha soltanto tentato di difendersi con le armi che aveva a disposizione da un assalto ideologico (quello sì che un giorno meriterà la sua Norimberga privata): l’egualitarismo pauperista dell’amministrazione di Bill Clinton.
Fu infatti l’ex presidente Usa, non a caso passato alla storia per guerre umanitarie e la fellatio più famosa del mondo, non per aver dato vita a un’altra Yalta, a imporre condizioni gravemente punitive agli istituti di credito che non concedessero una percentuale minima di mutui, praticamente senza garanzie e a tasso agevolato, a minoranze etniche o clientela con rating di credito totalmente inaffidabile. Il tutto in ossequio a una convinzione molto thatcheriana (essendo Tony Blair il suo sodale dell’epoca, la cosa non stupisca), ancorché distorta e piegata in chiave progressista, di inclusione sociale attraverso la politica abitativa. Si parlava di limitazioni nell’operatività (acquisizioni, fusioni e e cessioni ma anche swap con la Fed) e nella concessione di aperture per filiali e sportelli bancomat per chi non rispondesse “signorsì” ai diktat di Washington. E, signori miei, le banche non sono né Ong, né Onlus: se tu mi imponi di garantire mutui e prestiti a gente a famiglie monoreddito che possono contare su 600 dollari al mese, quando va bene, io devo cautelarmi in altro modo. E cautelare soci e azionisti, oltre che gli altri correntisti. Quindi, passò la logica della cartolarizzazione di massa, ciò che fece nascere e proliferare la malapianta subprime, ontologicamente niente di demoniaco ma nell’uso che se fece, decisamente sì.
Quei mutui e quei prestiti con tasso di sofferenza e incaglio altissimi fin dalla loro approvazione forzata, venivano impacchettati all’interno di strumenti finanziari che mischiavano tranche con diversi tipi di rating, proprio per cercare di bilanciare rischio e opportunità (rendimento) della security stessa. Cosa fece andare fuori controllo il giochino? L’avidità. E non solo delle banche, le quali – ripeto – statutariamente fanno soldi o cercano di farne, ma di milioni e milioni di cittadini che se ne fregarono bellamente di capire la natura di quell’investimento all’apparenza così conveniente ed esente da rischi, salvo poi maledire Wall Street e i suoi avidi componenti. E comprarono, comprarono. Ci gettarono dentro i risparmi di una vita, addirittura in molti si indebitarono pur di salire in giostra in quello che sembrava un mercato che non poteva conoscere crisi: proprio come quello azionario attuale, ad esempio, retto dalla falsa narrativa del Trumpnomics.
Dicevamo, l’avidità. Fu infatti la natura stessa di quelle securities, Mbs (Mortgage-backed securities), a garantire a chi le designava la possibilità di poter spingere per oltre il consentito con la leva, operando di fatto essenzialmente su mutui immobiliari e quindi su spread: e si sa, la leva è una gran bella cosa, ma se cambia la corrente, c’è il forte rischio che il 5 che hai investito per guadagnare 25, ti costringa a coprire perdite per 500. E poi, amico mio, non puoi lamentarti. Perché o vuoi fare i soldi facili e allora corri il rischio di perdere tutto o altrimenti compri Buoni del Tesoro e stai tranquillo, accettando però un rendimento che il più delle volte è divorato dall’inflazione. Terza ipotesi, lotteria o Gratta e vinci. Ma, come dice il proverbio, non si può essere incinta solo un po’. E cosa è successo con Lehman Brothers, di tanto epocale? Nulla, semplicemente si è deciso che era più conveniente per la situazione generale dell’economia Usa che fallisse piuttosto che essere salvata. Tutto qui. Lo decisero la Fed e le grandi banche di Wall Street, piene di quelle porcherie cartolarizzate anche loro e che, poste di fronte all’ipotesi di pagare la loro parte di colpa con lo sconto, non ci pensarono due volte a mostrare il pollice verso come gli imperatori romani che decretavano la morte dei gladiatori nell’arena. L’amministrazione Bush, di fatto, nemmeno aveva capito cosa stesse succedendo, fino a quando la decisione fu presa e comunicata.
E perché Lehman fu sacrificata? Perché erano antipatici? In parte. Soprattutto, per due motivi. Primo, erano bravi a fare il loro lavoro, anche se le anime belle del mondo inorridiscono di fronte alla prospettiva di fare soldi dai soldi, senza costruire niente (vorrei proprio vedere come investono i loro soldi, però). Talmente bravi che quella volta si fecero prendere la mano con la leva e andarono oltre: ma – e le cifre spese in Qe solo dalla Fed e dal governo Usa in sussidi e stimoli federali dal 2009 in poi lo confermano plasticamente – se si fosse voluto salvare Lehman, si poteva farlo senza alcun problema. E senza per questo mandare in rovina l’America. Invece, le altre banche colsero al volo l’occasione per togliersi dai piedi un competitor scomodo (non a caso, tutti i trader di Lehman hanno trovato lavoro nei desk concorrenti il giorno dopo il fallimento, Nomura in testa, anche se nell’iconografia classica sono visti come i disoccupati con le scatole di cartone in mano) e la Fed di trovare il casus belli che cercava per operare in maniera emergenziale, mettendo la Casa Bianca e il Congresso davanti al fatto compiuto (e amplificando non poco le conseguenze, così tanto per insaporire la minestra con un bel po’ di sale emergenziale da vendere all’opinione pubblica che, in molti casi, avrebbe visto da lì a poco sparire i suoi investimenti).
Secondo motivo, proprio perché bravi, quelli di Lehman erano primary dealer a livello globale, ovvero governavano una catena di rischio di controparte che includeva ogni angolo del globo e ogni asset class: insomma, colpire loro significava globalizzare una crisi che, in realtà, era tutta americana, quella del mercato immobiliare. Così, invece, il termine subprime è diventato di uso comune ovunque, dalla Cina all’Australia, da Parabiago a Tarragona passando per Lione. E con esso, le conseguenze. Il panico generalizzato portò negli anni a seguire le varie Banche centrali a intervenire in modalità altrettanto irrazionale e a compiere il vero misfatto: salvare tutti, indiscriminatamente. Sistemici e non, tutti poterono godere in qualche maniera del paracadute dei soldi pubblici. Anche chi, in ossequio alla legge schumpeteriana della distruzione creativa, doveva soccombere alla crisi, perché disfunzionale di suo, strutturalmente.
A vostro modo di vedere, perché subito dopo il fallimento Lehman, sono state salvate AIG, Bear Stearns e soprattutto le due agenzie para-statali che garantivano mutui al 70% del mercato immobiliare Usa, Fannie Mae e Freddie Mac, delle vere e proprie generatrici di debiti e malagestione? Perché nei loro bilanci c’era il marcio vero della bolla immobiliare tutta politica e tutta ideologica dell’amministrazione Clinton, ovvero c’era il core business tutto statunitense dei subprime: se fossero saltate quelle aziende, saltava l’America. Facendo saltare Lehman, invece, si è rischiato potenzialmente di far saltare il mondo, ma si è garantito, a tutti, di poter mettere mano pubblica al portafoglio e dare un bel reset alla situazione di casinò finanziario globale. Certo, mandando il mondo in tilt per qualche anno, ma l’alternativa sarebbe stata un’America che perdesse, dalla sera alla mattina, il suo status di potenza egemone nel mondo: dollaro come valuta benchmark, in testa. Avete idea delle conseguenze, fosse solo proprio sulla catena di controparte finanziaria del biglietto verde?
Il fallimento Lehman è tutto qui, niente più e niente meno che una crisi finanziaria ciclica che, questa volta, è stata tramutata in evento globale perché le menti più illuminate del criminale mondo finanziario si erano accorte con grande anticipo di ciò che ora si chiama sovranismo e punta a governare il mondo: la globalizzazione senza regole e senza gradualità era una sciagura. Anzi, una bomba a tempo innescata. E con l’orologio che non offriva molto agio prima di doversi mettere al riparo. Paradossalmente, dobbiamo ringraziare chi ha fatto esplodere con quella magnitudo – anche e soprattutto mediatica – il caso Lehman, perché altrimenti il redde rationem con l’abuso di credulità politica generale che consentì alla cosiddetta Terza Via di innescare in economie disfunzionali i principi di deregulation totale della globalizzazione (vedi l’ecomomia cinese come esempio sommo) ci avrebbe presentato comunque il conto qualche anno dopo e in maniera totalmente disordinata e caotica, non fosse altro perché giunto a livelli di esposizione alla leva totalmente ingestibili, anche dalle Banche centrali. E, con ogni probabilità, avremmo avuto guerre. E non in Siria o Afghanistan, magari in Francia. O in Spagna. O una rivolta armata in Texas o Wyoming. O magari in Italia, con una bella insurrezione del Nord per staccarsi da Roma.
Le crisi finanziarie non sono mai inaspettate e, soprattutto, non sono quasi mai unicamente colpa della finanza: diventano tali perché alla politica conviene che esplodano, altrimenti state tranquilli che di whatever it takes alla Draghi se ne sarebbero potuti dire molti negli ultimi trent’anni. E invece no, ogni tot una crisi ci vuole, un reset ci vuole. Anche la notte del 15 settembre 2008, qualcuno avrebbe potuto pronunciare un whatever it takes nel palazzo della Fed di New York ma nessuno lo fece, si decise altro. Si decise di salvare il mondo, distruggendolo. Schumpeter al suo meglio. E preparatevi signori, perché il prossimo giro è ormai alle porte. E sarà molto peggio del 2008, perché ci sono i falsi record di Trump, un decennio di abusi ormai strutturali delle Banche centrali e il casinò cinese da far digerire al sistema. Altro che la Citrosodina del fallimento Lehman, fidatevi.