La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ieri si è arricchita di una nuova puntata. Lunedì sera il Presidente americano ha annunciato un nuovo round di dazi su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi. Ieri la Cina ha risposto in due modi. Da un lato ha annunciato dazi su 60 miliardi di importazioni americane a partire dal 24 settembre, dall’altro ha dato una sterzata al mercato azionario domestico “promettendo” maggiori investimenti in infrastrutture. I titoli legati alle costruzioni sono rimbalzati martedì prima della chiusura con gli indici azionari che dopo essere stati in rosso tutta la notte hanno chiuso in positivo. Cerchiamo di riordinare le idee.
Gli Stati Uniti hanno iniziato la guerra commerciale, sotto la presidenza Trump, per cercare di arginare un deficit commerciale e finanziario fuori controllo da anni. L’impressione che abbiamo è che questa “guerra” vada avanti da anni, ma in realtà siamo solo agli inizi e sostanzialmente non è ancora successo niente; nel senso che abbiamo solo intravisto le conseguenze di una vera guerra commerciale, All’inizio si pensava che si sarebbe arrivati a un accordo celermente, ma gli ultimi sviluppi non sembrano andare in questa direzione. La “novità” di questi giorni è che la Cina ha dimostrato di non voler cedere alle pressioni americane e anzi di voler rispondere. Supponiamo quindi che la guerra commerciale vada avanti e cerchiamo di ipotizzare, sapendo di poter sbagliare anche grossolanamente, cosa potrebbe accadere da qua in avanti.
Dal punto di vista cinese il problema diventa come sostituire la domanda estera. La risposta, in un certo senso, ci è stata data ieri con l’esplosione al rialzo dei titoli legati alle costruzioni martedì. La Cina deve sostituire la domanda estera con domanda interna fatta di investimenti e consumi. La Cina non è affatto senza risorse, finora investiva i risparmi in dollari, e può muoversi per trasformare la propria economia. Sono meno apparenti i problemi “americani”; oggi tendiamo a ridurre il problema a una questione di crescita o di mercati finanziari oppure, giustamente, citiamo l’incremento dei prezzi dei beni che arrivano in America. Il problema è più radicale. La risposta cinese potrebbe mettere in crisi la catena di approvvigionamento dell’industria americana. Le imprese americane producono in Cina e vendono in America; alcuni prodotti tecnologici sono l’emblema di questo meccanismo, ma la questione è decisamente più ampia. Il problema per l’America sarebbe quello di rimpiazzare fornitori che non esistono più sul suolo americano per continuare a garantire che certi beni continuino ad arrivare in tempi ragionevoli e a prezzi ragionevoli sul mercato americano. Non si tratta “solo” di una questione di prezzo, ma di un problema “fisico” legato a una catena di fornitura che si spezza e che bisogna, in qualche modo, rimpiazzare “fisicamente”. Non è affatto banale per un’economia abituata da due decenni a delocalizzare certe produzioni in certi Paesi.
Oggi possiamo decidere che il problema sia legato a un Presidente che nella migliore delle ipotesi è incapace e nella peggiore completamente pazzo e che questo Presidente non abbia la più pallida idea di cosa stia facendo e dei rischi di questo approccio per l’economia americana. È possibile, ma alcune dichiarazioni di importanti esponenti democratici nelle ultime settimane, per esempio Elizabeth Warren, sembrano suggerire che su questa questione “l’establishment” americano sia meno diviso di quanto sembri. Facciamo finta che Trump o la sua “amministrazione” sappia quello che fa; oppure che, in qualche modo, l’azione di Trump risponda comunque a un disegno “razionale” e che il Presidente sia solo uno “strumento contingente”. Assumiamo quindi che questa guerra commerciale vada avanti nonostante sia perfettamente chiaro anche a chi l’ha iniziata, gli Stati Uniti in quanto tali, quali siano le conseguenze.
La conclusione potrebbe essere una separazione” permanente” dell’economia americana da quella cinese. I cinesi molto meno investiti nel mercato americano e gli americani molto meno dipendenti dall’industria cinese. Si potrebbe ipotizzare che sia funzionale a un confronto più netto tra America e Cina iniziato già sotto la presidenza Obama. Quasi una nuova guerra fredda.