Mentre il Governo continua a lavorare sulla nota di aggiornamento del Def e sulla Legge di bilancio, dall’Istat sono arrivati dati su fatturato e ordinativi dell’industria (relativi al mese di luglio) in rallentamento. Già nei giorni scorsi Giovanni Tria aveva segnalato l’esistenza di un gap di crescita del Pil pari all’1% tra Italia e altri Paesi europei. Ieri il ministro dell’Economia ha spiegato che per ridurre questo divario occorre agire su tre fronti: aumento degli investimenti, lotta alla povertà e riduzione del carico fiscale. «Il gap di crescita esiste e dipende anche da un calo demografico che altri paesi non hanno, tant’è che a livello pro capite il divario non arriva al mezzo punto percentuale», ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



Ritiene che quelli indicati da Tria siano i fronti giusti su cui intervenire?

Credo di sì. Il divario della crescita dipende sostanzialmente dal fatto che gli investimenti pubblici, ma anche quelli in edilizia, sono completamente fermi. I consumi sono sì cresciuti, ma potrebbero anche aumentare di più se si riducesse la povertà e se l’imposizione fiscale fosse meno alta. Fin qui siamo tutti d’accordo. Il problema è che per ridurre l’imposizione fiscale bisogna ricavare delle risorse da qualche altra parte, altrimenti si peggiora il deficit, che è quello che Tria non vuole fare. 



Il ministro ha detto di ritenere importante portare gli investimenti pubblici almeno al 3% del Pil.

Il punto è che gli investimenti pubblici richiedono spesa pubblica. O si fa un negoziato con l’Ue, non bilaterale, ma con il supporto di altri paesi importanti dell’Unione per arrivare a stabilire che possono essere scorporati dal debito, oppure non si può pensare di affidare tutto al Def. Lo stesso vale per il contrasto alla povertà: si è partiti dal reddito di inclusione, ma il reddito di cittadinanza di cui si parla ora ha costi troppo alti. Dunque c’è sempre il problema delle risorse, la coperta per il nostro Paese è veramente corta.



Siamo quindi di fronte al sentiero stretto di cui parlava Padoan?

Il sentiero stretto può non piacere, ma se è l’unica strada bisogna passare di lì. È come se fossimo su una parete a strapiombo dove o si fa quel sentiero stretto o se si pensa di potersi buttare e volare usando le braccia non si fa una bella fine. Cavarsela aumentando il deficit è impossibile, lo sa anche Tria, che infatti sta cercando di tenere una posizione di difficile equilibrismo, che però potrà durare fino alla presentazione del Def. Perché è troppa la distanza tra le promesse che hanno permesso la vittoria elettorale e il sentiero stretto che è l’unico che possiamo percorrere.

Nel frattempo la situazione economica non sta migliorando…

Esatto, lo scenario che abbiamo di fronte non è dei più favorevoli, siamo rimasti con pochi settori che ancora tirano, come il farmaceutico, dove sono stati più alti gli investimenti stranieri, di quanti confidavano nella fase di riforme che c’è stata negli anni scorsi. Adesso però gli investimenti sono fermi, tutti vogliono capire cosa succederà ed è chiaro che l’economia rallenta in questa situazione. I dati sul fatturato dell’industria mostrano che il mercato interno si è praticamente fermato, proprio per questa incertezza generale. 

Lei ha detto che non si può pensare di aumentare troppo il deficit: è solo una questione di rispetto delle regole europee?

No. Politiche troppo espansive potrebbero mettere in discussione l’avanzo primario che l’Italia da anni riesce ad avere, unico Paese importante in Europa insieme alla Germania a farlo. Un dato che ha aiutato la nostra credibilità. Andare al 3% del deficit/Pil vorrebbe dire sostanzialmente azzerare l’avanzo primario. Per un Paese con un debito pubblico al 60% del Pil come la Germania non sarebbe un problema, ma l’Italia, con un debito/Pil al 130%, rischierebbe di perdere fiducia dei mercati.

Dunque dovremo aspettare la nota di aggiornamento del Def. Secondo lei come andrà a finire?

Tria sta cercando di allungare i tempi di esecuzione del programma di Governo, cioè di dire che i principali interventi verranno implementati nell’arco di tutta la legislatura. Se il ministro riuscirà a contenere il deficit/Pil all’1,6% verrà ricordato come un benemerito perché sostanzialmente da solo è riuscito a fermare uno tsunami di follia. Se non ci riuscirà purtroppo ne pagheremo tutti le conseguenze. 

(Lorenzo Torrisi)