Con l’approssimarsi della data in cui l’Autorità per l’Energia comunicherà come di consuetudine l’aggiornamento delle tariffe di gas e luce, il presentimento di ulteriori aumenti in bolletta per il quarto trimestre 2018 è avvalorato dalla rincorsa delle quotazioni della materia prima durante l’estate. Il barile di petrolio ha sfiorato gli 80 dollari al barile, viaggiando a quotazioni mai viste negli ultimi 4 anni. Per questo le stime elaborate da Energindustria, consorzio della Confindustria di Vicenza, che indicano un aumento del 30% del gas e del 10% della luce a carico delle imprese, e proporzionalmente anche sulle famiglie, sono attendibili.
A sostegno di questa prospettiva rialzista concorrono anche gli eventi climatici (Florence, avvertono i climatologi, è l’emblema di una tempesta potenziata dall’uomo) combinati alla temporanea chiusura di importanti impianti di produzione e raffinazione degli idrocarburi. Eppure questa settimana i mercati internazionali dei greggi hanno esordito sottotono. Scontano la notizia del raggiungimento di un nuovo record della produzione petrolifera. Come riportato nel rapporto Oil Market stilato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) ad agosto, la produzione mondiale di petrolio ha superato per la prima volta nella storia i 100 milioni di barili al giorno, il rigido programma di contenimento dell’offerta petrolifera da parte dei paesi aderenti a Opec Plus. Si tratta del superamento di un’importante soglia psicologica, tanto più che è dalla metà degli anni 2000 che si danno previsioni sul raggiungimento del picco del petrolio (puntualmente smentite dall’arrivo di nuove tecnologie estrattive, dalla scoperte di nuove riserve o di giacimenti che si rivelano molto più ricchi delle attese come accade ora in Basilicata).
Sulla volatilità dei mercati della materia prima, oltre alle spinte puramente speculative, pesano anche le tensioni sugli scambi dei diritti per l’emissione di anidride carbonica. Si tratta di quei permessi che centrali termoelettriche, industrie manifatturiere energivore come cementifici, acciaierie e cartiere, stabilimenti petrolchimici o compagnie aeree sono obbligate a comperare sul mercato europeo Ets (Emissions Trading Scheme) per compensare le emissioni di CO2 che scaricano in atmosfera. Piuttosto criticato, il sistema dei cosiddetti “permessi a inquinare” applicato agli operatori europei non ha funzionato come efficace leva per stimolare l’efficienza energetica e l’impiego di fonti pulite, anzi. Ha provocato degli effetti distorsivi a causa del basso prezzo dell’anidride carbonica, delle molteplici esenzioni e quote gratuite di permessi concessi da Bruxelles a imprese europee per scongiurare il fenomeno del carbon leakage, ovvero lo spostamento della produzione in paesi poveri con bassi vincoli ambientali. Ma soprattutto, nell’ultimo decennio, si era costituito un notevole eccedenza di permessi derivanti dalla recessione con l’effetto di calmierare le quotazioni della CO2 a dei livelli disincentivanti per il taglio delle emissioni.
In previsione della riforma europea del mercato dei permessi di emissione prevista nel 2019, negli ultimi tempi, alcuni operatori finanziari, fiutando affari d’oro nello stock di permessi inutilizzati, hanno rastrellato diritti, tanto che il loro prezzo è quintuplicato nel giro di un anno, arrivando a toccare 25 euro per tonnellata. Altro aumento che si riverbera nel Pun, prezzo all’ingrosso dell’elettricità e gas.
Cosa aspettarci dall’effetto petrolio quando il 1 ottobre l’Autorità per l’Energia (Arera) annuncerà l’aggiornamento trimestrale delle bollette? Certamente il nuovo presidente Stefano Besseghini non potrà – come il suo predecessore – contenere il rincaro della materia prima limando gli oneri di sistema (è spiegato in questo articolo), i quali, a vario titolo dal sostegno allo sviluppo delle rinnovabili al bonus sociale, alle agevolazioni per le imprese energivore al decommissioning nucleare, compongono rispettivamente il 44% della bolletta della luce e 36% di quella del gas. Il ricorso dell’Arera a questo effetto scudo, limitato nel tempo e non replicabile infinitamente, impone però una riflessione politica a più ampio spettro sulla reale natura della composizione della bolletta strutturalmente sempre più simile a un bancomat della fiscalità.