I mercati non si spaventano di fronte a nulla. Lo sconcerto per la raffica di dichiarazioni, spesso in contraddizione tra loro, dei responsabili (?) di Governo non ha allontanato gli operatori dall’Italia. Semmai, i grandi investitori guardano oggi al debito di casa nostra con un occhio diverso. Su Bel Paese, ha spiegato Morgan Stanley ai suoi clienti, occorre agire “tatticamente”: acquistare a buon prezzo quando le sparate dei vari esponenti di Governo superano certi picchi retorici, uscire quando il distacco tra i Btp e i titoli di egual durata di Spagna e Portogallo, troppo elevati rispetto ai valori fondamentali, tende ad accorciarsi. È la regola che in queste settimane ha ispirato Blackrock e altri Big del risparmio che stanno sfruttando a dovere le esasperazioni dello spread. Non è certo un caso che, proprio mentre si facevano più duro l’ultimatum giallo-verde sui migranti, a luglio, i gestori abbiano rastrellato con grande abilità, senza forzare i prezzi, i titoli italiani (8,7 miliardi di acquisti netti) 



È assai probabile che l’orientamento possa cambiare più volte nei prossimi giorni, in attesa del testo della manovra. È ancor più probabile che la turbolenza continuerà: il Def dovrà affrontare il vaglio di Bruxelles. Poi prenderà il via una campagna elettorale per le europee che si annuncia infuocata in cui Matteo Salvini sarà senz’altro una star internazionale, per giunta rafforzato dall’asse con Silvio Berlusconi, pronto ad approfittare dell’effetto traino nell’uomo del momento (mica per caso il Cavaliere è stato il re delle comunicazioni per decenni). La sensazione che se ne ricava è di vivere in un Paese stressato da continue fibrillazioni, in un costante stato di tensione emotiva che rischia di giocare brutti scherzi: esemplare, al proposito, l’esilarante narrazione della cena delle beffe in casa Pd.



Ma i mercati non si spaventano per così poco. Anche perché le cose vanno bene, forse troppo bene. La pioggia di liquidità piovuta sulle corporation Usa sta favorendo una pioggia di primati storici di Wall Street. Anche in questo caso economia e politica vanno a braccetto. Donald Trump, in vista delle elezioni di novembre, non lesina gli sforzi per spingere all’insù l’indice S&P 500 oltre quota 3 mila prima del voto: forse ce la farà. Ma qualcosa del genere lo sta facendo in Giappone Shinzo Abe appena confermato alla guida del partito. E non si sottrae all’appeal della finanza nemmeno Xi Jinping, che ha reagito ai danni inflitti dai dazi americani con una manovra di segno opposto, annunciando l’azzeramento delle tariffe sull’import, a vantaggio dei consumatori. Anche il padrone assoluto del Celeste Impero non vuole correre il rischio di perdere il consenso dei sudditi ricorrendo all’aborrita austerità, il nemico pubblico numero uno a ogni latitudine. Salvo (forse) la Germania.



La prossima recessione, dieci anni dopo Lehman Brothers, non può tardare, ammoniscono gli esperti. Ma, come sempre accade, i mercati non se ne curano. È il momento di sfruttare le ultime bolle, che durano davvero poco. Le criptovalute non sono più di moda? Nessuna paura. È l’ora del boom della canapa, l’ultima intuizione di Peter Thiel, il capitalista-filosofo di Silicon Valley, l’unica figura tech schierata con Trump, che nel giro di pochi mesi ha visto il fondo da lui promosso in aziende di coltivazione della marijuana passate da 20 milioni di dollari di valore a oltre 12 miliardi. Il boom dipende da molti fattori, ma soprattutto da una domanda per fini terapeutici figlia della crisi. Ci sono i milioni di disoccupati creati dalla crisi del 2008 ai quali sono stati prescritti su vasta scala oppiacei al primo mal di schiena o raffreddore e che hanno sviluppato forme gravi di dipendenza, una delle piaghe americane più vergognose. Ma ora ci penserà la cannabis, il pilastro dei programmi di disintossicazione, ultima frontiera del profitto. I mercati non si spaventano mai.