A fine agosto il ministro delle Finanze francese ci avvisava che “dato che la crescita del Pil sarebbe stata inferiore alle previsioni iniziali”, il deficit su Pil francese nel 2018 sarebbe stato 2,5% e non il 2,3% come previsto; a questi numeri si doveva aggiungere un altro 0,1% per il consolidamento del debito delle ferrovie francesi. Nemmeno un mese dopo anche il deficit previsto per il 2019 è stato “ritoccato” dal 2,4% al 2,8% per permettere un piano di stimolo fiscale. Apriamo le scommesse sulle possibili ulteriori revisioni che questo numero, il deficit per il 2019, avrà nei prossimi mesi. Come nota di colore aggiungiamo che il ministro delle Finanze francese è lo stesso che in data 8 settembre dichiarava con tono minaccioso: “Penso che tutti i leader politici italiani siano consci dei loro impegni”. C’è da sbellicarsi.
Qualcuno si è già precipitato a dire che la Francia può e noi no perché il nostro debito è più alto. Siamo al ridicolo e chi lo dice è in malafede totale. Il debito italiano ha fatto peggio di quello francese negli ultimi dieci anni solo e solamente perché l’Italia ha fatto l’austerity nel 2012. Non solo. Come si può in buona fede pensare di far scendere il debito su Pil in una situazione di austerity perpetua anche quando il contesto globale rallenta? Qualcuno avrà dato un’occhiata ai deficit su Pil francesi degli ultimi dieci anni… la Francia è rimasta in piedi solo e solamente perché ha potuto disobbedire all’Europa sul deficit salvando la sua economia.
La Francia ha appena festeggiato, nel 2017, il primo deficit sotto il mitico limite europeo del 3% degli ultimi dieci anni. Negli anni di grazia 2009 e 2010, quando l’economia globale crollava sotto il peso del fallimento di Lehman, i francesi spedivano il deficit al 7,2% e al 6,9%, mentre in Italia, negli stessi anni, ci fermavano al 5,2% e al 4,2%. La differenza tra il 2,8% previsto ieri e un numero superiore al 3%, in uno scenario globale più “sfidante”, è così immediata che ci sentiamo di dire, senza per questo ritenerci geni, che la probabilità di un numero nuovamente superiore al 3% sia molto elevata.
Lo stimolo all’economia probabilmente è frutto della popolarità ai minimi dei minimi di Macron. Alla prova dell’austerity, oltretutto in dosi ridicole rispetto a quelle propinate al di qua delle Alpi, il sistema “politico-economico-sociale” francese, chi l’avrebbe detto, non regge. Un paio di anni così in un sistema in cui non si è fatto neanche un decimo delle riforme fatte da questa parte fanno intravedere conseguenze politiche identiche a quelle che si sono viste in Italia. Anzi, peggio perché i francesi, a differenza di noi italiani, ogni tanto le rivoluzioni le fanno davvero. Se pensiamo che Macron è stato il baluardo contro l’onda di Marine Le Pen e che oggi con la popolarità ai minimi deve fare politiche espansive, si comprende benissimo quale sia il rischio che si vuole scongiurare. Il rischio che l’onda di rigetto per i primi scampoli di politiche europee travolga Macron e tutto quello che rappresenta e lasci il campo sgombero per quelli che in Italia chiamiamo “sovranisti” o “fascisti”. Solo che ci sembra che questa seconda definizione si applichi un po’ peggio ai sovranisti nostrani rispetto a quelli che si vedono in Austria, Francia o Germania.
Oggi discutiamo della guerra commerciale e ci domandiamo, per finta perché la risposta è ovvia, se il modello tedesco poi imposto al resto d’Europa sia percorribile anche in futuro: austerity, deflazione, svalutazione interna e disoccupazione per evitare l’aumento indesiderato del costo del lavoro. Non è percorribile né economicamente, perché gli altri, fuori dall’Europa, “si arrabbiano”, né politicamente, perché uno dopo l’altro, inclusa la Francia, gli stati europei politicamente scoppiano. E se non scoppiano è persino peggio perché il debito greco, e in futuro quello italiano, è destinato a non essere mai ripagato, neanche se i greci domani diventassero improvvisamente bavaresi e cominciassero a mangiare wurstel e birra. Quel debito è sostanzialmente la leva per la colonizzazione. Mettiamo subito le mani avanti: su questo ultimo punto citiamo sempre e ancora quel pericoloso bolscevico di Soros.
Il problema dell’Europa era la Grecia, poi il Portogallo, poi la Spagna, poi l’Italia e adesso la Francia. Anche se lo si dirà sottovoce perché in Europa tutti gli stati sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri. In pratica il problema dell’Europa sono gli europei. Lasciamo stare l’Italia: per una volta, possiamo dire che se l’Europa non si ripensa profondamente, politicamente ed economicamente, inclusi i suoi equilibri politici allora inevitabilmente scoppierà? E che più si posticipa il redde rationem più ci si farà del male? Possiamo dire che senza un minimo di redistribuzione interna, senza rilanciare la domanda interna, il progetto può solo fallire indipendentemente dalle colpe o dalla buona volontà dei suoi membri?
Non è rimasto più nessuno, fuori dall’Italia, che ancora creda che l’austerity possa essere una risposta o che creda sia una ricetta “neutra” o scientifica. Gli effetti economici e politici sono evidenti: basta vedere cos’ha prodotto l’austerity del 2012 in Italia sul debito su Pil o e sulla sua politica. Oggi assistiamo al piano espansivo francese, giustamente, quando fino a ieri tutti dicevano che violare anche di uno 0,1% gli impegni con l’Europa avrebbe aperto le porte dell’apocalisse finanziaria ed europea. In questo modo nessuno discuteva su come spendere l’extra deficit per rilanciare un’economia morta da almeno dieci anni. Una discussione che invece sarebbe molto interessante.
Non si capisce a chi giovi rifiutare a prescindere questa discussione. Sicuramente non giova all’Italia. Il dibattito su questo punto, da ieri, da quando il più sovranista dei sovranisti Macron, che già chiudeva le frontiere, si mette perfino a disobbedire all’Europa sul deficit (ci portiamo avanti con le revisioni del 2019) è, fortunatamente, un po’ più sfumato. Ovviamente comprendiamo che se la Bce continua a comprare titoli di stato francesi anche se “spaventano i mercati” con questi “deficit”, di un’economia che è strutturalmente messa peggio di quella italiana (almeno per quanto riguarda saldo primario e ricchezza delle famiglie) e invece smette di comprare quello italiano, se solo ci si permette di aprire un dibattito, la questione non si pone. Però smettiamo di dire che “ce lo chiede l’Europa” e facciamo direttamente nomi e cognomi della guerra civile europea.