“Sì, credo che il governo italiano abbia ragione a voler fare come la Francia, ma dobbiamo provare a convincere la Commissione con un piano credibile e dettagliato di investimenti, dimostrando di saper spendere rapidamente le risorse”. L’economista Mario Deaglio commenta così l’idea del vicepremier Luigi Di Maio di voler copiare la Francia, che ha deciso di alzare il rapporto deficit/Pil 2019 al 2,8% dal 2,6% programmato. “Se noi guardiamo agli ultimi dieci anni – aggiunge Deaglio – l’atteggiamento della Commissione nei confronti delle finanze pubbliche francesi è stato di maggiore apertura rispetto all’Italia. Però un motivo c’è”.
Quale?
La Francia aveva un debito pubblico molto più basso. E quindi le era concesso di sforare rispetto a cifre preordinate – solo una volta sono andati sotto il 3% – perché si pensava che la capacità di recupero fosse maggiore.
Possiamo seguire anche noi l’esempio francese?
Il nostro problema non è lo sforamento in sé, è lo sforamento accompagnato a un debito altissimo. Per questo penso che su quest’ultima decisione di Bruxelles si possano un pochino alzare le sopracciglia.
Perché?
Perché il debito francese nel frattempo è aumentato. Quindi la credibilità delle manovre di contenimento previste dalla Francia è diminuita.
All’interno del governo Conte pare sia stato trovato l’accordo su un rapporto deficit/pil all’1,9%, una soglia-compromesso tra l’1,6% difeso da Tria e le spinte di Lega eM5s per arrivare al 2% e magari oltre. Secondo lei, può bastare per aiutare la ripresa economica, visto che questo governo vuole fare non una manovra di austerity, ma favorevole alla crescita?
Guardi, stiamo parlando più o meno del sesso degli angeli.
In che senso?
Queste percentuali vanno bene una volta fissate le regole del gioco. L’errore statistico di misurazione è tale che un decimale in più o in meno non fa quasi differenza. Tenga poi conto che l’ultima revisione del Pil italiano operata dall’Istat settimana scorsa ci dà un decimale in più di Pil nel 2017. E nel rapporto deficit/Pil e debito/Pil questo decimale conta. Se prima la stessa cifra ci portava all’1,6%, è possibile che un decimale in più di crescita abbia modificato leggermente il rapporto. Ma il punto è un altro: tutto dipende da come le risorse si spendono. La quantità in sé non è decisiva, è una premessa: dopo aver stabilito la quantità, bisogna sempre vedere la qualità della spesa.
In Francia hanno deciso di tagliare le imposte a imprese e famiglie. Strada praticabile anche da noi?
Il taglio delle imposte francesi è per i due terzi a favore delle imprese.
Questo cosa significa?
Conoscendo il tipo di rapporti che esiste tra le grandi imprese francesi e il governo, è ragionevole pensare che, a fronte di questi tagli, ci siano già dei programmi di investimento che vengono accelerati. Ben diverso è dare con piccole cifre la maggior parte dei soldi ricavati da questi tagli di imposta alle famiglie anche poco abbienti, perché non è detto che li spendano con la stessa rapidità, non avendo nessun piano. È già successo con gli 80 euro mensili di Renzi: non si sono tradotti in aumento dei consumi per quasi un anno, perché le famiglie avevano dei piccoli debiti da saldare.
La ricetta valida per noi sarebbe, dunque, chiedere più deficit, ma presentando un piano credibile e dettagliato di investimenti?
Non so se sia possibile, ci possiamo provare. Ma non c’è una regola fissa, dobbiamo convincere gli altri, attraverso la Commissione, che questo possa andar bene. Bisognerebbe conoscere bene le carte, cioè gli impegni che ragionevolmente possiamo prendere. E ciò mette il dito nella piaga delle troppo farraginose procedure per realizzare qualunque investimento in Italia, di tipo edilizio, industriale, infrastrutturale. Non si riesce a spendere perché le norme sono diventate così contorte che alla fine si blocca tutto.
Un eventuale 1,9% di deficit significa avere a disposizione 17 miliardi in più. Però ci sono da sterilizzare le clausole di salvaguardia, che valgono 12,5 miliardi, e in più c’è un pacchetto di altri miliardi, stimati tra i 5 e i 10, di spese indifferibili. Resta ben poco per fare flat tax, reddito di cittadinanza e quota 100, non crede?
Questo ragionamento andrebbe bene se tutte queste misure entrassero in vigore subito a partire dal 1° gennaio 2019.
Invece?
Siccome verosimilmente, dopo l’approvazione della legge di Bilancio, si dovranno promulgare leggi aggiuntive e regolamenti attuativi, entreranno in funzione gradualmente nel corso dell’anno. Quindi si tratterà di spese che in termini di cassa, cioè di quanto il Tesoro dovrà spendere effettivamente, saranno in circolo poco per volta e lì qualcosa si potrà recuperare. Credo sia questa la riserva su cui il ministro Tria pensa di poter contare.
C’è chi dice che la Commissione Ue, essendo vicina la data delle elezioni europee, non userà il pugno duro con l’Italia, ma sarà più conciliante. È davvero così?
Credo che questo sia molto verosimile. Da un lato, Bruxelles vorrà riaffermare i princìpi, guai se lasciasse fare a tutti quel che vogliono, ma nello stesso tempo senza mai arrivare allo spasimo, cioè al livello delle sanzioni.
Perché?
Una parte della risposta la sapremo già tra qualche settimana, visto che in ottobre si voterà in Baviera. Lì gli alleati della Merkel sono fortemente a rischio. Se mai arrivasse un risultato negativo per la Cancelliera, un governo già adesso azzoppato lo sarebbe ancor di più e a quel punto, in una prospettiva di elezioni europee in bilico tra sovranisti ed europeisti, diventa molto difficile dire a un grande Paese come l’Italia, tra i fondatori dell’Unione e una delle maggiori economie del continente, “no, non puoi fare così perché hai uno zerovirgola fuori posto”.
Quindi le debolezze della Merkel e di Macron sono i migliori alleati dell’Italia?
Eh sì, è proprio così.
(Marco Biscella)