Dopo la revisione al rialzo del deficit francese per il 2018 di fine agosto e dopo quella annunciata lunedì per il 2019 la curiosità di dare un’occhiata allo spread francese è irresistibile. Negli ultimi 30 giorni lo spread francese, nonostante due revisioni al rialzo importanti del deficit, è sceso da 37 punti a 32. Eppure la Francia ha un debito su Pil al 97% non così dissimile a quello che aveva l’Italia nel 2011, 116,5%, prima della crisi dello spread con i mercati che “ci punivano” di fine 2011. Non solo, la Francia vanta risultati sul deficit molto ma molto peggiori di quelli che vantava l’Italia nel 2011. Ricapitoliamo: debito simile a quello italiano del 2011, una storia di violazioni delle regole europee con deficit molto superiori al 3% e pochissime riforme strutturali. Eppure lo spread non solo non si muove ma scende. Oltretutto la stabilità “politica” è una questione aperta con la popolarità di Macron ai minimi.
Il minimo che si possa dire è che la relazione tra deficit, debito e spread è molto ma molto diversa da quella che ci è stata raccontata. Siccome la Francia controlla la sua banca centrale, la Bce, siccome è sovrana e siccome per questi due motivi riesce a preservare la sua economia, salvaguardandola, dalle crisi finanziarie e dalle recessioni, allora il suo debito, anche se alto è giudicato “sano”. Salvaguarda la sua economia dalle speculazioni perché gli investitori sono certi che la sua banca centrale sia sempre vigile e dalle recessioni perché può, all’occorrenza, fare tutto il deficit che vuole; evitando l’esplosione dei “populismi”. Il sistema industriale francese è rimasto intatto e anzi si è rafforzato con acquisizioni all’estero. Il sistema produttivo francese è rimasto intatto e quindi il debito è solvibile.
L’approccio è quello giusto perché se anche domani arrivasse una crisi stile Lehman, o peggio, la Francia avrebbe comunque fatto la cosa migliore: in una, ipotetica, crisi sistemica quello che conta per un investitore non è il debito, visto che tutti i bilanci pubblici “saltano”, ma il sistema produttivo sottostante. Meglio preservare il sistema produttivo e poi pensare a come affrontare il debito avendo i mezzi per farlo che distruggere il sistema produttivo rendendo veramente insolvibile il debito. Sostenere che il debito debba scendere nel lungo periodo non implica nulla sul fatto che oggi o domani sia meglio che salga se l’alternativa è affossare l’economia.
Torniamo un attimo all’Europa. Come si concilia la posizione francese con l’appartenenza alla “casa comune” europea? Siccome condividiamo l’Europa è giusto rispettarne le regole. L’approccio francese è quindi anti-europeo. C’è un enorme equivoco. Se non accade niente, se l’Europa non si riforma la conseguenza non è che tutto rimarrà come è adesso. La traiettoria dell’Europa è quella dell’esplosione perché il progetto è nato male e continua a non essere aggiustato. Un’unione monetaria come l’euro nel lungo termine ha solo due possibili finali: scoppia, mancando qualsiasi redistribuzione interna e qualsiasi unione politica, oppure dura, ma come dominio dei creditori (la Germania e forse la Francia portando in dote la sua dote geopolitica) sui debitori. Non facendo niente non si perpetua il progetto europeo; non facendo niente non si devia un treno che corre su binari che finiscono in un burrone. Questo giudizio è chiarissimo sia in Francia che in Germania.
Lo si comprende benissimo non solo dal non rispetto delle regole, ma dal fatto che oggi, con l’unione che diventa vitale, si evita in tutti i modi di farsi trovare invischiati per esempio mandando a quel paese le regole sul deficit. Non ci crede nessuno se non, per ovvi motivi, i burocrati europei con tutte le loro leve. Se lo scenario è la spaccatura quello che conterà saranno le condizioni in cui ci si farà trovare al termine dell’euro. Noi ci presenteremo sostanzialmente avendo perso la guerra e in condizioni infinitamente peggiori di quello del post Lehman. Se oggi l’Italia non è in grado, per esempio, di riformare una burocrazia fuori controllo, questo non significa che sia meglio ammazzare la sua economia con un’austerity stupida in uno scenario di rallentamento globale. Questo l’Europa, se si pensasse come tale, dovrebbe capirlo e sostenerlo. Se non lo fa è perché l’Europa non si pensa come tale, ma è solo uno strumento al servizio di chi la può usare.