Dopo tanta attesa oggi sarà approvata la Nota di aggiornamento del Def e si conosceranno i dati relativi a Pil, debito e deficit previsti per il 2019. Nelle ultime ore ha cominciato a circolare l’ipotesi che il disavanzo possa essere portato all’1,8-1,9% del Pil, anche se per Luigi Di Maio il 2% non deve essere considerato un tabù. Giovanni Tria, davanti alla platea di Confcommercio, ieri ha annunciato che il taglio dell’Irpef verrà rimandato ai prossimi anni, mentre nella Legge di bilancio ci sarà la flat tax per le piccole e medie imprese. Abbiamo fatto il punto della situazione con Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.



Professore, a quanto pare il deficit/Pil non sarà dell’1,6% come indicato nei giorni scorsi da Tria, ma potrebbe salire all’1,8-1,9%. Questo cambia qualcosa?

Probabilmente già quest’anno si avrà un deficit/Pil più alto del previsto. Se arrivasse all’1,8%, a quel punto nel 2019 si sarebbe sostanzialmente in linea. Non mi immagino quindi né la Commissione europea, né i mercati, né le agenzie di rating saltare sulla sedia solo per questo numero. Non credo partirà una procedura di infrazione, né che vi sarà una manovra speculativa con forti vendite dei nostri titoli di stato. Questo perché di fatto il grosso del contratto di Governo verrebbe comunque rinviato agli anni successivi. 



Secondo Di Maio il 2% di deficit/Pil non deve essere considerato un tabù…

Non so perché il 2% debba essere considerato come una soglia particolare. La regola che è stata seguita negli ultimi anni, la cosiddetta dottrina Padoan, era ridurre un po’ il deficit rispetto all’anno precedente, in modo di dare il senso di una convergenza verso l’azzeramento. Ora mi sembra si voglia andare contro la dottrina Padoan. In ogni caso credo che i mercati giudicheranno la qualità delle misure approvate e non staranno a guardare i decimali. Il punto è che se si fa deficit per finanziare investimenti è un conto, se invece lo si fa per aumentare le pensioni in un Paese dove gli anziani se la passano tutto sommato meglio dei giovani, l’impressione che si ricava è quella di una misura dal sapore elettoralistico.



Questo vale per le pensioni di cittadinanza o anche per il reddito di cittadinanza, che dovrebbe entrare nella manovra?

Vale per tutti i redditi garantiti che possiamo pensare. Si tratta di misure permanenti che non dovrebbero essere finanziate in deficit, ma con riduzioni di spese o aumenti di entrate. Il reddito di cittadinanza, per esempio, se finanziato con riduzione di detrazioni e deduzioni potrebbe avere una sua logica: dare di più a chi ha di meno, ma togliendo qualcosa a qualcun altro.

Tria ha detto che porterà avanti il percorso di riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil. Sarà possibile anche con un deficit all’1,8-1,9%?

Bisognerà vedere quale sarà la crescita attesa del Pil indicata nel documento del Governo. Per ora i numeri che erano stati inseriti ufficialmente erano risultati essere piuttosto ottimistici. Il numero più probabile per il 2019 sarà sotto l’1,5%. Può essere che l’esecutivo abbia in mente delle misure che favoriscano una crescita del Pil superiore a quanto è stato finora preventivato.

Il ministro ha annunciato che il taglio delle tasse nella manovra ci sarà per le imprese, mentre quello per le famiglie verrà rimandato. Cosa ne pensa?

In una fase in cui l’economia sta rallentando, come si vede dalla produzione industriale, dare una mano alle imprese sembra essere una buona idea. D’altronde per dare qualcosa di tangibile alle famiglie bisognerebbe effettuare tagli fiscali e conseguentemente di spesa pubblica molto più rilevanti. Mi sembra che il Governo abbia deciso che piuttosto che dare qualcosa alle famiglie di cui non si sarebbero accorte neanche sia meglio dare qualcosa di tangibile alle piccole imprese, le quali magari sono ancora un po’ più in difficoltà rispetto alle grandi. 

Le famiglie, stando alle ultime indiscrezioni, potrebbero però vedersi ridurre le detrazioni su mutui e spese sanitarie dal 19% al 17%…

Questo vorrebbe dire far aumentare la tassazione per il ceto medio. Questa misura potrebbe aver senso se fatta a fronte di una riduzione delle aliquote Irpef. Visto però che verranno tagliate le imposte per le imprese, le famiglie si ritroveranno solo con più tasse. Ho quindi qualche dubbio che, se effettivamente inserita nella manovra, questa misura sopravvivrebbe all’iter parlamentare.

Tria ha detto che conta di dimezzare il gap di crescita del Pil che l’Italia ha nei confronti del resto dell’Europa in un anno. Lo ritiene possibile?

Servirebbe che l’Europa cadesse in recessione perché questo possa avvenire più facilmente. O perlomeno che rallentasse in modo consistente. Questo obiettivo mi sembra quindi molto ottimistico.

(Lorenzo Torrisi)