Tutto come previsto. I mercati hanno reagito con un pesante ribasso del mercato azionario, non solo sulle banche, alla manovra di bilancio approvata dal Governo. Lo spread ha raggiunto i 280 punti base, il titolo decennale rende più del 3,1%. “I mercati se ne faranno una ragione”, sillaba Matteo Salvini, impegnato a recuperare terreno sull’alleato-rivale Luigi Di Maio, il vincitore morale della “guerra” al povero Giovanni Tria, ostaggio al ministero per volontà di Sergio Mattarella. Dopo la vittoria Di Maio si dimostra “ragionevole”: non vogliamo fare la guerra all’Europa, cercheremo il dialogo. Comprensivo, per ora, il commissario Ue Pierre Moscovici. Ma la prossima parola toccherà alle agenzie di rating: scontata la bocciatura di Moody’s il prossimo venerdì. A quel punto il debito italiano scivolerà a livello di junk e perderemo l’accesso ai mercati.
A quel punto, la componente della maggioranza di Governo che non ha mai smesso di puntare all’uscita dalla moneta unica, avrà l’occasione per introdurre una moneta domestica parallela, e proseguire col Piano B. Per il giubilo dei pasdaran che ieri sera hanno festeggiato sotto palazzo Chigi, replicando le tragiche feste di Atene dopo il no al referendum sul bailout europeo, a luglio 2015. Sappiamo com’è andata a finire in Grecia, facile che il copione si ripeta in Italia, Paese a rischio sul piano demografico, con una debolezza strutturale aggravata da scelte scellerate (l’austerità forse più delle spese mal mirate). Ma il programma del professor Savona (perché non affidargli direttamente il ministero dell’Economia?) può contare su un quadro internazionale ben più favorevole.
Tra meno di due mesi si terranno le elezioni Usa di midterm: in caso di affermazione repubblicana (peraltro tutt’altro che certa), il Presidente potrà accelerare la realizzazione dei suoi programmi, compresa la pressione sull’Unione europea a trazione tedesca, offrendo così un grande sostegno alle forze anti-euro. In primavera, poi, le elezioni europee avranno il significato di un test generale tra forze pro o contro Bruxelles, dall’esito tutt’altro che scontato. Un conflitto globale di fronte a cui impallidisce l’effetto di un downgrade.
La campagna elettorale, del resto, è già iniziata. Come si permettono gli euroburocrati di bocciare la “manovra del popolo” con un deficit pari al 2,4% e ad approvare quella francese che prevede il 2,8%? Le spiegazioni non mancano, a partire dal fatto che la manovra di Parigi prevede misure temporanee di sgravi fiscali coperte mediante la riduzione in valore reale di alcune voci di spesa. Ma non si può andare troppo per il sottile in una situazione in cui prevalgono e soluzioni semplici, anzi semplicistiche. Ci sarà tempo per sviscerare i (tanti) problemi e le (poche) opportunità della situazione che si va delineando non solo in Italia.
Per ora merita spendere due parole per valutare la caduta di consenso delle classi dirigenti e il fallimento delle terapie adottate per uscire dalla crisi. A queste soluzioni nell’ultimo anno Trump ha opposto un mix di reflazione fiscale (grazie ai tagli delle tasse) con una politica monetaria moderatamente restrittiva. È quello che vediamo sotto i nostri occhi negli Stati Uniti. È quello che probabilmente sogna il partito pro-Savona. Ma i margini e le capacità del sistema sono ben diverse. Non resta che confidare nello stellone.