Ieri Amazon è arrivata al miliardo di dollari di capitalizzazione raggiungendo Apple in questa specialissima classifica. Il successo borsistico è un simbolo della particolare situazione in cui si trova il mercato azionario americano, che sale sostanzialmente senza sosta da quasi dieci anni e che negli ultimi trimestri non ha mostrato nessuno dei segnali di esaurimento dei suoi competitor.
Le Borse dei Paesi emergenti sono sotto pressione evidente già da diversi trimestri e anche i mercati finanziari dei Paesi sviluppati viaggiano sotto i massimi e stanno facendo segnare un 2018 non particolarmente favorevole. La Borsa americana è un’eccezione assoluta. Aggiungiamo che in queste stesse settimane si registra una forza notevole del dollaro che ha stupito molti.
Sotto questa superficie si nasconde una realtà molto più complessa. I problemi derivanti dalla guerra commerciale e da un confronto sempre più muscolare con Cina e Russia sono abbastanza noti; sono forse meno noti alcuni segnali di stress che derivano dal budget statale americano.
Gli Stati Uniti si sono impegnati in un ampio piano di stimolo fiscale all’economia, con l’abbassamento delle aliquote deciso da Trump, e nel frattempo si sono impegnati in un piano di spese militari, si pensi alla “space force” proposta dallo stesso presidente, e perfino di investimenti in infrastrutture in Paesi esteri per contrastare l’equivalente sforzo cinese. In questo scenario negli ultimi dodici mesi si è alzato sensibilmente il costo del debito governativo americano; diventa sempre più attuale il tema di come affrontare le conseguenze di un aumento del deficit e della spesa per interessi.
Sarà anche per questo che una settimana fa il presidente americano Trump ha annunciato che non ci saranno aumenti salariali per i dipendenti pubblici nel 2019, nonostante il Pil viaggi a tassi lusinghieri e nonostante si sia in piena occupazione con un costo del lavoro che sale e “food inflation”; nessun incremento in questo scenario significa un taglio ai salari reali per i dipendenti statali. Anche le entrate fiscali sono in calo, nonostante il mega-stimolo all’economia e il tasso di crescita del Pil oltre il 4%.
La coperta del budget statale americano comincia a essere corta e ovviamente si comincia a “speculare” su quale possa essere la soluzione. La soluzione più facile per risolvere il problema del debito è l’inflazione, che nel caso americano significa ricominciare – sarebbe il caso di dire continuare – a stampare dollari; la polemica tra Trump e il governatore della Fed, accusato di non essere abbastanza accomodante, deriva quasi sicuramente dal crescente costo del debito americano in una fase di deficit crescente.
Per l’America, però, non c’è una risposta semplice a una questione che diventerà ancora più evidente nei prossimi mesi e cioè a chi piazzare il debito mantenendo i costi bassi in una fase di confronto/scontro con Cina e Russia. L’andamento del mercato azionario americano non riflette queste tensioni e in questo momento è principalmente una sorta di porto sicuro dove viene garantito il bene prezioso della liquidità degli investimenti; aiutano i problemi dei Paesi emergenti, in un certo senso eterodiretti dalle politiche monetarie della Fed, e le frizioni all’interno dell’Unione Europea e dell’area euro che fanno scegliere per esclusione le società con mega capitalizzazione e estrema liquidità come Apple e Amazon, che a loro volta trascinano gli indici.
Quanto questo gioco possa continuare è una domanda molto complicata. Una cosa è certa: lo schema attuale non può essere la soluzione di lungo termine alle contraddizioni della politica economica ed estera americana; gli exploit di Apple o Amazon più che simboli di salute finanziaria sembrano i sintomi di una malattia.