“Una manovra nel segno della crescita nella stabilità, che terrà i conti in ordine e rassicurerà i mercati”. Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha dichiarato dopo il vertice di ieri del Governo per mettere a punto i contenuti della legge di Bilancio. Al termine dell’incontro il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha aggiunto che la manovra “sarà coraggiosa, ma non sfideremo la Ue” e ha messo in chiaro che “reddito di cittadinanza e flat tax non sono alternativi”. Anche il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, è intervenuto: “Vogliamo rispettare gli impegni presi con gli italiani rimanendo nei vincoli imposti da altri” e sul reddito di cittadinanza ha chiarito che “è una battaglia dei 5 stelle: sarà nella manovra visto che al governo siamo in due”. Insomma, “una manovra coraggiosa, che rassicura i mercati e farà sorridere gli italiani”. Possibile far quadrare questa difficile equazione? Per Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, è quasi impossibile. “Flat tax e reddito di cittadinanza sono due programmi inconciliabili, sia concettualmente che finanziariamente. Meglio varare la flat tax che il reddito di cittadinanza, misura che non piacerà ai mercati e all’Europa”. E avverte: “La nave Italia sta andando contro un iceberg: o si ferma oppure qualcuno salterà giù prima dell’impatto” e ciò “porterà presto a una crisi di governo, altro che governo di legislatura”.



Intanto va registrato che dopo mesi di dichiarazioni incendiarie contro la Ue e i mercati, ora i toni sono più concilianti. Come si spiega questo cambio di atteggiamento?

Non è ancora chiaro che impegno il governo voglia rispettare. Fino a ieri sembrava che fosse quello della regola del 3%, ma l’impegno vero che si deve rispettare è quello del Fiscal compact con eventuali deroghe. La regola del Fiscal compact, molto stiracchiata con dentro gli investimenti, porta al 2%, altrimenti è molto più bassa, perché il margine di flessibilità rispetto al quasi pareggio di bilancio previsto per il 2019 e gli anni successivi è chiaramente tra l’1 e il 2%. Si può arrivare al 2%, appunto, con gli investimenti, perché aumentano la capacità produttiva e quindi creano un output gap che consente la deroga.



In passato non sempre sono state rispettate le regole del Fiscal compact…

Dobbiamo ricordarci che, a parte la clausola di salvaguardia, che è una finzione, c’è comunque uno sforamento dello 0,3%, certificato, e che quindi siamo partiti male e in ritardo rispetto a ciò che si doveva fare. Dunque il margine adesso è molto stretto.

Che cosa può avere indotto il governo a questo atteggiamento meno bellicoso: i timori di un nuovo balzo dello spread? La paura per l’avvicinarsi della fine del Qe?

Sono stati Salvini e la Lega, cioè la forza politica che ha al suo interno il maggior tasso di aggressività anti-euro, i primi a dichiarare di volere essere più conformi alle linee della Ue. Posso capirlo, perché il programma, che poi era quello della coalizione di centrodestra, di fare maggiori investimenti e di ridurre le imposte per rilanciare le politiche di produttività, è un programma che consente di avere più margini di flessibilità in sede europea. Ciò mi fa supporre che la Lega voglia staccare la spina abbastanza presto, preparandosi ad adottare una linea che non generi eccessiva tensione sui mercati. Sia Lega che M5s hanno paura dello spread, ma entrambi non si rendono conto, e fanno male, che esso non colpisce solo il debito pubblico, il che è certamente importante, ma che tocca anche il debito privato, cioè fa salire il tasso d’interesse che le imprese pagano per finanziarsi. Così, più che i suoi consiglieri, è stata la base elettorale della Lega, composta in gran parte di piccoli imprenditori, scontenti per i continui attacchi all’euro e all’Europa e preoccupati del fatto che con l’aumento dello spread il denaro costa di più, che può aver indotto Salvini a usare parole più concilianti.



Come si può rispettare il vincolo del 2% prevedendo in manovra sia flat tax che reddito di cittadinanza?

Non sono sicuro che si rispetterà la regola del 2% e che nella parte “opinabile” di questa soglia si inseriscano gli investimenti o altri elementi di intervento produttivistico che giustifichino una deroga alle regole Ue. Se si accetta la linea della Lega – tagliare le imposte e fare investimenti – si può rispettare l’insieme di queste regole, ma se si adottano provvedimenti come il reddito di cittadinanza, sforando rispetto al massimo di deficit consentito dell’1,5%, saremmo in difficoltà.

Flat tax e reddito di cittadinanza sono dunque due provvedimenti in contraddizione tra loro?

Sì, e ne va della credibilità di un governo, se vuole sommare questi due programmi inconciliabili. Il primo può non essere costoso all’inizio, visto che si vuole anticipare la flat tax, anche se per me non è una vera tassa piatta, alle partite Iva. E come suggerisce il sottosegretario Rixi, andrebbe estesa anche agli immobili commerciali, perché anche questa misura costerebbe molto poco. Anzi, il mio consiglio è di applicare la flat tax anche sui contratti di produttività, tipo quelli varati a suo tempo da Fiat e da Fincantieri e che si potrebbero fare anche per l’Ilva. Naturalmente questi contratti non si improvvisano, ma la norma può essere importantissima per il Mezzogiorno e per lo sviluppo. Questi contratti periferici creano lavoro aggiuntivo, che può essere tassato di meno, senza problemi di copertura, proprio perché prima questo lavoro non c’era e quindi il gettito che ne deriva è addizionale. I programmi graduali per la flat tax, quindi, si possono fare. Tenendo oltretutto presente un aspetto che Di Maio non tiene in considerazione.

Quale?

Quando si vara una riforma fiscale, anche di riduzione delle imposte, essa viene recepita come aspettativa, anche se non va a operare immediatamente, visto che ogni anno si considerano le basi imponibili degli anni precedenti. Serve un tempo tecnico per fare questa riforma e l’effetto positivo si manifesta sfasato nel tempo.

E con il reddito di cittadinanza questo non avverrebbe?

Con il reddito di cittadinanza non puoi far così, perché o lo dai o non lo dai, è costoso fin dall’inizio. Con la flat tax c’è recupero di gettito differito nel tempo, anche perché aiuta a portare allo scoperto economia sommersa e lavoro nero, come nel comparto dell’edilizia o tra le partite Iva, mentre con il reddito di cittadinanza si tratta solo di soldi da sborsare che crescono nel tempo.

Eppure Di Maio e Salvini concordano sul fatto che le due misure ci saranno nella manovra. Non c’è anche un problema di coperture?

Certo. Lo ripeto: la flat tax può creare gettito, il reddito di cittadinanza è costoso in sé, essendo la platea dei possibili interessati molto ampia: se dai anche una piccola cifra, ne viene comunque fuori un esborso considerevole. No, non è facile sommare queste due cose e non è facile far accettare il reddito di cittadinanza.

A chi?

Ma come si può dire in Germania il fatto che si dà agli italiani, in particolare nel Sud e a quelli che non lavorano, una somma per non lavorare, chiedendo deroghe al bilancio europeo? Proprio in Germania dove anni fa è stata varata una riforma che ha ridotto l’indennità di disoccupazione al fine di creare una maggiore disponibilità di lavoratori part time e di ridurre la tendenza e la convenienza a non lavorare? Altro conto è aiutare i poveri, ma la povertà non si combatte dando soldi, bensì intervenendo per sanare quelle condizioni che la creano. La posizione di Di Maio è assurda, soprattutto pensando al fatto che Salvini vuole invece dare più lavoro e far emergere il nero. Lo ripeto: le due proposte sono inconciliabili concettualmente e finanziariamente, perché la flat tax ha un effetto positivo sull’economia, il reddito di cittadinanza no. Anzi, man mano lo estendi e meno genera crescita, ma solo spesa improduttiva e assistenzialistica. Se Salvini dice che sono conciliabili, lo dice solo per propaganda.

È dunque possibile che sulla legge di Bilancio si arrivi a una rottura del patto tra Lega e M5s?

Così non si va avanti cinque anni, si potrà continuare un altro anno con questa finzione, ma come può l’Italia, con il suo già pesante fardello del debito, mantenere per anni milioni di persone? Senza dimenticare che dopo il decreto dignità lo stesso Di Maio ha ingessato ancor di più il mercato del lavoro, abolendo in sostanza la legge Biagi. In cambio, diamo i sussidi?

In questo braccio di ferro il premier Conte e il ministro Tria chi accontenteranno di più?

Tria avrà la responsabilità di tutto questo, e a Conte non resterà che prenderne atto. Se il ministro dell’Economia non firma la legge, c’è poco da fare. Mi sembra però inverosimile che Tria, che non è un politico, voglia rischiare la sua reputazione professionale solo per accontentare Salvini e Di Maio. Dirà: o fate così o me ne vado. Fisserà una frontiera, dopodiché Salvini e Di Maio litigheranno per decidere sotto quella frontiera cosa mettere. Alla fine se Di Maio non cede, si spacca tutto. E se cede, si spaccherà tutto lo stesso, perché l’anno prossimo gli elettori 5 Stelle lo detronizzeranno. Si va al redde rationem e non penso che la legislatura possa durare. Non vedo la mediazione.

Lo spread ieri è sceso, ma il commissario Ue al bilancio, Oettinger, e la stampa internazionale, Wall Street Journal Financial Times in testa, hanno lanciato nei giorni scorsi allarmi pesantissimi contro l’Italia, che può distruggere l’Europa o infettare il mercato dei bond sovrani. Sarà comunque dura convincere i mercati e la Commissione?

La situazione è questa: o l’Italia sta al 2% o tutto salta. Se provano a superare il tetto — ma mi sembra inverosimile, perché dovrebbe essere Tria ad avallare questo sforamento —, dopo i mercati ci attaccano e magari siamo pure costretti a chiedere l’aiuto del fondo salva-Stati; a quel punto la crisi di governo sarebbe inevitabile. Questa nave, su cui si balla come sul Titanic, si sta pericolosamente avvicinando all’iceberg, che sarebbero appunto gli Oettinger, il WSJ, il FT, le agenzie di rating e l’opinione pubblica internazionale. O la nave si ferma oppure qualcuno scenderà giù prima dell’impatto.

(Marco Biscella)