Il dibattito politico di questi ultimi tempi, stretto tra legge di Bilancio imminente, flat tax, reddito di cittadinanza e le promesse o minacce di superare il rapporto deficit/pil del 3%, sta riportando sotto i riflettori la questione annosa del debito pubblico e del famigerato spread. E come al solito il campo dei commentatori si è diviso tra chi nega la rilevanza dello spread e del debito e chi invece sottolinea l’importanza del debito (che deve calare a tutti i costi) e afferma che lo spread è dipendente solo dalla legge del “libero mercato” dove gli operatori della finanza “fanno il loro lavoro”.
Ma per questi ultimi, come si spiega la crisi che ancora dopo dieci anni attanaglia l’Italia? Si spiega con l’inefficienza della politica e delle scelte delle grandi imprese, che non investono, non innovano e magari preferiscono corrompere invece che innovare. Insomma, si tratta della solita manfrina anti-italiana, che però ha le gambe molto corte (come tutte le bugie) perchéa non spiegano come mai la crisi attanaglia tutta Europa e mezzo mondo, dove i politici italiani corrotti (oh quanto sono corrotti!) non ci sono.
Facilmente i due schieramenti si dividono nella ricetta da applicare per uscire dalla crisi: i primi spingono per un ritorno alla sovranità monetaria, i secondi invece si fanno paladini del più Europa. L’atteggiamento culturalmente ridicolo dei secondi è la necessità di modificare la lettura della storia, la lettura di quanto è successo in questi anni, pur di sostenere le loro tesi. E così vanno in scena le più bislacche interpretazioni, che non tengono conto dei dati reali e della realtà in tutti i suoi aspetti.
Poi nel dibattito si inseriscono pure coloro che appaiono “super partes” nelle riflessioni, ma di fatto contribuiscono alla disinformazione generale. Spiace citare a questo punto il professor Paolo Maddalena, che ultimamente ha scritto che “è ovvio che volere gli Stati Uniti d’Europa è una necessità assoluta. Lo precisa, tra l’altro, l’articolo 11 della Costituzione, secondo il quale l’Italia ‘consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni’”.
Il “piccolo” problema è che questa parità non esiste proprio. Intanto la Costituzione prevede che la limitazione della sovranità (non la cessione) sia finalizzata a un ordinamento che assicuri la pace; e qui le possibilità sono solo due: o c’è una guerra in atto (operata dalla classe dei ricchi, come ammesso dallo speculatore Warren Buffett nel 2006) o un pericolo di guerra; oppure il fine è un altro, e quindi siamo fuori dal dettato costituzionale.
E poi non c’è la parità delle condizioni, in particolare proprio sul meccanismo che genera gli interessi sul debito e quindi influisce pesantemente sul debito. Tale differenza nel meccanismo degli interessi è ben spiegato da un recente articolo apparso su Milano Finanza a firma di Guido Salerno Aletta, dal titolo significativo “Troppe garanzie per chi specula contro l’Italia”, in cui analizza il meccanismo delle vendite dei Btp italiani: “Diversamente dalla Germania, che attribuisce direttamente alla Bundesbank i titoli che il mercato non accetta al rendimento prestabilito… in Italia il prezzo lo fa la domanda… è un paradosso: il mercato non compete al ribasso per aggiudicarsi la posta come sarebbe normale in un’asta competitiva. Ieri infatti la domanda di Btp a 10 anni è stata 1,7 volte la quantità offerta dal Tesoro… è un gioco di sponda tra gli scommettitori al ribasso e gli investitori istituzionali, che viene bene assai: si va in buca, mettendo tutto in conto al Tesoro…”.
Il meccanismo infernale applicato in Italia è semplice: se il 90% dei titoli viene collocato, per esempio, al 5% di interessi e il restante 10% viene collocato al 6%, allora tutti i titoli di quella emissione vengono collocati alla cifra più alta, cioè al 6%. Questo meccanismo infernale e autolesionista è applicato da quando è avvenuto il divorzio tra Bankitalia e Tesoro, nel 1981. Al contrario, in Germania, si violano palesemente le regole europee, poiché la Banca centrale non può acquistare direttamente i titoli di Stato. Però in Germania, furbescamente, i titoli invenduti vengono collocati presso l’Agenzia per il Debito che, per conto della Banca centrale, li colloca poi sul mercato secondario (dove non vi sono solo gli investitori istituzionali), ottenendo così la vendita dei titoli a prezzi molto bassi, cioè con interessi vantaggiosi per lo Stato.
Di questo “trucco” si sono occupati anche economisti e commentatori tra i più allineati, talvolta con toni allarmistici sul fatto che tale pratica mina la stabilità e la credibilità delle istituzioni europee. Ecco per esempio un articolo del 2011 di Federico Fubini, nel quale si afferma: “L’asta è andata deserta per un terzo dei Bund offerti come si fosse trattato di titoli greci qualunque, non dello zoccolo di granito su cui poggia l’intera finanza europea… La Banca centrale tedesca ha subito assorbito tutti i titoli invenduti. È esattamente ciò che la Bundesbank stessa non vuole che la Bce faccia con Italia e Spagna. Anzi, è un po’ peggio. A meno di smentite (per ora non giunte) ha comprato direttamente dal governo, un comportamento in apparenza illegale ai termini del trattato: finanziamento monetario del deficit”.
Questo spiega perché c’è lo spread, cioè una differenza tra gli interessi dei titoli di Stato tedeschi e quelli italiani: è una differenza strutturale e quindi ineliminabile. Ma nonostante queste evidenze, la maggior parte del discorso sul risanamento dell’economia italiana si focalizza ancora sulla lotta agli sprechi, alla corruzione, all’evasione fiscale. Una lotta vana e inutile contro la crescita del debito. E sulla minimizzazione degli effetti del cambi monetario (che non abbiamo più e che potremmo avere con il ritorno alla sovranità monetaria).
Ecco come ragiona l’economista Francesco Pontelli in materia, dopo aver analizzato alcuni dati sulla crescita e sul cambio euro/dollaro: “Da questo confronto dei due diversi andamenti evidenziati dai grafici emerge evidente come la politica monetaria e soprattutto il fattore competitivo legato alla svalutazione presentino degli effetti minimali per quanto riguarda lo sviluppo, specialmente nel medio e lungo termine”.
Eppure gli studi più recenti dicono l’opposto. Dicono che la direzione presa negli ultimi quarant’anni nelle maggiori economie mondiali è completamente sbagliata. E la direzione presa è quella per cui le Banche centrali hanno perso il possesso di una quota importante dei titoli di Stato, che sono finiti agli speculatori internazionali. E un recente articolo riporta un grafico estremamente eloquente.
Nel grafico qui sopra la parte inferiore di colore rosso riporta la percentuale di titoli posseduta dal sistema bancario, mentre quella in verde riporta la quota di titoli posseduta da non residenti. La linea nera invece riporta il rapporto tra debito e pil. L’autore del pezzo nota come nel periodo in cui il sistema bancario possedeva una fetta consistente l’economia è cresciuta. Mentre da quando ha iniziato a cedere queste quote al sistema finanziario internazionale (i non residenti, dalla fine degli anni 70) l’economia prima si è bloccata e poi è entrata in crisi. E il rapporto tra debito e pil, che era in calo, ha iniziato a crescere inesorabilmente. Quando sembrava si fosse stabilizzato (dalla fine degli anni 90 e poi con la nascita dell’euro) era perché stava esplodendo il debito privato.
“Il nuovo concetto di fattore competitivo legato alla valuta in un mercato competitivo e globale come quello attuale viene rappresentato dal concetto di STABILITÀ… Un concetto purtroppo sconosciuto ma talvolta addirittura negato da buona parte di quel mondo economico che ancora oggi crede nella politica monetaria ed affida la soluzione dei nostri problemi alla semplice applicazione dei principi monetaristici”. Così pontifica il Pontelli, anche se i ponti (quelli reali) ultimamente hanno la brutta abitudine di cadere, anche in Germania, proprio come conseguenza dell’applicazione di quella austerità che viene perseguita con cieca ottusità.
Tale ottusità è la stessa che si affanna a spiegare che non può arrivare la soluzione dalla “semplice applicazione dei principi monetaristici”, ma non si cura di rammentare che la negazione di questi “semplici principi” può portare solo al baratro. E la negazione è proprio il contenuto della parola tanto enfatizzata (a suo tempo da Ciampi e poi da Monti), stabilità, poiché tale contenuto è precisamente “stabilità dei profitti per la speculazione” e come corollario ha la famosa frase di Draghi del 2012: “costi quello che costi”. Ovviamente, costi al Tesoro, cioè a noi cittadini. Il dato ovvio e oggettivo è che la speculazione e la corruzione ci sono ovunque.
In questo contesto la sovranità monetaria (o la sua perdita) serve solo a determinare chi paga il conto: senza sovranità monetaria lo pagano gli Stati e quindi i popoli. Da quando c’è l’euro il problema è quindi diventato il debito degli Stati: dalla Finlandia (passato dal 30% al 60%), alla Spagna (dal 60% al 130%), alla Francia (dal 60% al 100%). E l’Italia risulta tra i più virtuosi, dato che è passato dal 105% al 132%, nonostante l’uso suicida del meccanismo degli interessi sui titoli.
Chi oggi nega l’importanza di deficit, debito e spread (o ne relativizza l’importanza rispetto al benessere del popolo) compie già un atto rivoluzionario rispetto ai poteri dominanti in Europa, perché afferma implicitamente la sovranità del popolo, inclusa quella monetaria. Come detto, si tratta di semplici principi, già conosciuti da Copernico. “Anche se innumerevoli sono le pestilenze che limitano principati, regni e repubbliche, tuttavia quattro sono (a mio avviso) le maggiori: discordia, mortalità, terre sterili e svalutazione della moneta. I primi tre sono così evidenti che nessuno osa negarli, ma il quarto, attinente alla moneta, solo da pochi e dai più avveduti è considerato, perché porta alla distruzione non in un colpo solo, ma poco a poco e in modo occulto” (Monetae Cudende Ratio, 1526).
Quindi già 400 anni fa si sapeva che la svalutazione della moneta conduceva alla rovina un popolo. La novità con la moderna finanza è che anche la recessione con inflazione zero conduce alla rovina, non con un colpo improvviso, come una catastrofe naturale, ma a poco a poco, quasi inavvertitamente. La Bce ha stampato forsennatamente denaro, nel vano tentativo di suscitare la ripresa economica e un pochino di inflazione. Ha la sovranità monetaria, ma si è data regole per non poterla usare per il benessere dei popoli. Ha fallito e prima o poi i nodi vengono al pettine.
Questo è quello che c’è davvero in ballo, nella tempesta che si prefigura all’orizzonte in questa ultima parte dell’anno.