Il governo, dopo aver rassicurato Commissione e mercati, sta discutendo dei numeri che entreranno nella Nota di aggiornamento del Def, ossatura che poi servirà per costruire la legge di Bilancio. Pace fatta, dunque, e cambio di passo riuscito? “Aver cambiato i toni nel rapporto con l’Europa non basta – risponde Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano -. I mercati giudicheranno i fatti, come sempre. E se si vogliono fare flat tax e reddito di cittadinanza, bisogna trovare le coperture. E non sarà facile. Non vorrei che alla fine si arrivi ancora a tassare gioco d’azzardo e benzina per trovare le risorse. Se vogliamo convincere l’Europa e sfruttare gli spazi che ci può concedere il Fiscal compact dobbiamo puntare sugli investimenti”.



Professore, il governo pensa di fissare l’asticella del deficit tra l’1,5% e il 2%. È un livello adeguato per garantire “la crescita nella stabilità” come ha detto il premier Conte?

Lo riterrei un livello di deficit coerente con il sentiero seguito negli ultimi anni, che è stato quello di far scendere il deficit piano piano nel corso del tempo, cercando di dare un impulso all’economia.



Sembra un po’ una contraddizione in termini far scendere il deficit e dare impulso all’economia…

Però la verità è che noi abbiamo preso degli impegni che spingevano ad azzerare il deficit nel 2020. Il fatto stesso di modificare leggermente questi impegni, tenendo il deficit un po’ più alto, diventa una sorta di iniezione di soldi nell’economia. L’obiettivo è farlo scendere ma un po’ più gradualmente di quanto promesso, senza però strozzare la ripresa e senza peggiorare il rallentamento in atto nell’economia italiana. Quindi, un livello così potrebbe essere difendibile in Europa, alla luce sia della frenata della crescita sia in virtù di voler fare un piano straordinario di reinfrastrutturazione all’interno dell’economia italiana. Ciò che conta è far vedere che siamo capaci di spendere i soldi e che ce ne serve qualcuno in più per poter dare una mano ulteriore all’economia.



Nei confronti dell’Europa il governo ha cambiato tono, ora è meno aggressivo. È solo una mossa tattica visto che flat tax, reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero sono ancora in agenda?

I mercati giudicheranno dai fatti come fanno sempre, così come le agenzie di rating. Vedranno che caratteristiche avrà prima il Def e poi i contenuti della legge di Bilancio, che uscirà approvata dal Parlamento. Non basta però recitare le parole giuste che i mercati vogliono sentire per garantirsi una riduzione dello spread e una ripresa della Borsa più durature. Per ora i mercati hanno tirato un sospiro di sollievo rispetto a quello che sembrava un atteggiamento di confronto ricercato e duro. La dialettica con l’Europa è una cosa che i mercati capiscono, la ricerca dello scontro a partire da un 132% di rapporto debito/Pil è incomprensibile per i mercati e forse anche per gli elettori italiani.

Le prime reazioni della Ue sono state all’insegna della rassicurazione. Ma la Commissione ora si aspetta i fatti, cioè i provvedimenti e i numeri. Su cosa concentrerà l’attenzione?

L’attenzione dell’Europa sarà incentrata, prima di tutto, sulla qualità della spesa aggiuntiva o delle riduzioni di imposte che il governo si accinge a fare. Cioè, se si fa il reddito di cittadinanza vuol dire che si distribuisce reddito alla gente senza aumentare le possibilità di crescita, e l’Europa non vede con favore una misura di questo tipo. Anche una flat tax introdotta senza coperture sarebbe sostanzialmente un mettere più soldi nelle tasche delle persone, così come una revisione delle leggi sulle pensioni approvate in passato, tenendo conto che già la demografia va verso un ulteriore invecchiamento della popolazione. Sarebbero tutte misure incomprensibili e giudicate negativamente. Se invece l’eventuale deficit aggiuntivo – ricordiamo che dobbiamo fare uno 0,8%, se si va verso il 2% vuol dire un punto circa in più – viene destinato per realizzare opere infrastrutturali già in calendario o approvate ma non ancora cantierate come l’inizio della Gronda, questi sarebbero investimenti di carattere straordinario, ed è più logico finanziarli in deficit. Flat tax e reddito di cittadinanza sarebbero misure di carattere ordinario e dovrebbero essere finanziate e coperte da aumenti di tasse o riduzioni di spesa.

Di investimenti infrastrutturali però non si sente molto parlare…

Il contratto di governo firmato in pompa magna dai due leader dei partiti che formano la coalizione al governo conteneva una lista di cose da fare, elencate in ordine alfabetico, senza grandi indicazioni di priorità. Si faceva riferimento anche agli investimenti pubblici, ma il tema è piuttosto spinoso, soprattutto per i 5 Stelle, che hanno un’anima un po’ contraria a fare grandi opere, perché ne temono l’impatto ambientale o sulle popolazioni locali e ne considerano meno rilevante l’effetto sull’economia nel suo complesso, come dimostrano i casi della Tav o della Tap. Lì c’è una difficoltà politica obiettiva con cui misurarsi. Ma c’è un’altra difficoltà politica.

A cosa si riferisce?

È il misurarsi con il consenso vero dei cittadini italiani, preoccupati di tante cose, compreso il loro risparmio. Quindi, se si tiene fede ai punti scritti nel contratto si fa schizzare lo spread all’insù e ciò vuol dire che valgono meno i titoli nelle tasche degli italiani e delle banche. Anche questa è un’aspettativa dei cittadini di cui tenere conto.

Si possono usare spazi con il Fiscal compact?

Il Fiscal compact ha una caratteristica positiva: non fissa una soglia precisa per il deficit. Dice che mediamente il deficit deve essere grosso modo lo 0-0,5%, poi in anni in cui l’economia va male è normale anche che il deficit salga; invece negli anni in cui l’economia va bene, bisogna fare surplus. Ora, se c’è un rallentamento dell’economia, è giusto far salire un po’ il deficit; il problema, semmai, è che quando l’economia ricomincerà ad andare bene bisognerà essere disponibili a evitare l’accumulo di debito e di deficit, andando incontro a un surplus. In questo senso il Fiscal compact è più intelligente della regola del 3% fissata da Maastricht, una soglia rigida, indipendente da come stia andando il ciclo economico.

Quindi cosa possiamo fare?

Se si partisse oggi e fossimo a zero, potremmo fare più deficit, ma anche in termini di deficit strutturale, cioè al netto del ciclo economico, abbiamo comunque un deficit vicino all’1%. Molto però dipende da quello che potremmo fare con il deficit aggiuntivo: le infrastrutture possono essere una scelta sensata; meno sensato fare deficit aggiuntivo per finanziare flat tax e reddito di cittadinanza o cancellare una parte della legge Fornero.

Resta il nodo delle coperture. Già oggi bisogna recuperare 12,5 miliardi per sterilizzare gli aumenti dell’Iva e altri 8-10 miliardi tra spese indifferibili e aumento del coste degli interessi dopo il balzo dello spread. Dove trovarle?

Bisognerebbe che qualcuno spiegasse agli italiani che non si possono avere meno tasse e più spese. Se uno non vuole che l’Iva salga, bisogna ridurre la spesa pubblica in modo commisurato, ma 12,5 miliardi è un importo molto grande. Si tratterà probabilmente di mettere mano a qualcuna delle cosiddette tax expenditures, però quelle che valgono di più sono anche quelle a impatto sociale maggiore, come le detrazioni per i figli o le deduzioni per il mutuo o le spese sanitarie. Penso che alla fine il governo sarà obbligatorio a ricorrere alle solite tasse sui cosiddetti “mali”, cioè gioco d’azzardo e benzina. E qualcosa andrà a recuperare a banche e assicurazioni. Insomma, sui soliti noti.

E dalla pace fiscale quante risorse potrebbero arrivare?

La pace fiscale porterà molto meno reddito aggiuntivo allo Stato rispetto a quanto preventivato. Oltretutto è un’entrata una tantum. Non si può certo pensare di finanziare flat tax, reddito di cittadinanza o quota 100 per le pensioni in questo modo.

(Marco Biscella)