Secondo le leggende che girano a Milano, erano anni che Starbucks stava valutando l’apertura nella città lombarda del primo punto vendita italiano; secondo le stesse leggende, il ritardo o le difficoltà erano dovute a criteri estremamente selettivi sulla scelta della location che doveva essere di assoluto prestigio come in effetti è stato.
Se ci pensiamo non poteva che essere così, in un Paese dove c’è un bar ogni 50 metri e dove non c’è bisogno di esportare “la cultura del caffè”. L’unica via era quella che passava per la porta principale del mercato italiano nella sua città più internazionale e più cool del momento, e cioè la Milano dei grattacieli, delle cinque linee metropolitane, della moda e del salone del mobile; qualità che si trasmetteranno come per osmosi al marchio Starbucks, che non può non essere percepito come premium per funzionare soprattutto, lo ripetiamo, in un Paese come l’Italia, dove l’espresso al bar giornaliero è un passaggio obbligato per milioni di persone.
Piazzare un caffè, “industriale” e prodotto in serie, a quattro euro o giù di lì in un posto dove di solito si paga un euro o 90 centesimi ed è pure artigianale, non è semplicissimo, senza circondare il marchio di un fascino esotico. È il fascino esotico che noi italiani subiamo quando pensiamo di poter compiere un rito che si compie a New York o in uno degli altri posti magici che vediamo al cinema; quelli brutti, e sono davvero bruttissimi, non ce li fanno vedere, ma questo è un altro discorso sulla percezione completamente sballata che abbiamo dell’America noi italiani. Il peggior quartiere di Milano, o di Roma, sembra Sainkt Moritz rispetto al peggiore di New York.
Per chi sarà Starbucks? Inizialmente per i turisti, per i cultori del frappuccino e per i milanesi a cui il tazzone di caffè darà la sensazione di passeggiare per Central Park o di essere in un college americano invece che al parco Sempione; le nostre capacità di previsione si fermano qui. È molto probabile che l’esperimento possa essere replicato con uguale successo nelle principali località turistiche italiane. Sappiamo per certo che l’americano medio cerca e vuole l’America anche in un paesino dell’Umbria; d’altronde non potrebbe essere altrimenti, se film di successo globale come “Mangia, prega e ama” passano l’idea che a Roma non ci sia l’acqua calda dai rubinetti…
Parliamo di americano medio e sappiamo di non dover estendere questa categoria a quell’1% che vuole amare l’Italia, o il Giappone, così come è. Possiamo immaginare che la stessa deformazione si applichi ad altre culture che cercheranno e troveranno con soddisfazione il brand internazionale che ti fa il caffè esattamente come all’angolo di casa tua. E poi ci saranno anche a Venezia o a Roma gli italiani che vorranno provare l’emozione di sentirsi come sotto il Golden Gate.
Lo confessiamo. Questa idea che dall’altra parte del mondo o solo in un’altra città uno trova e mangia la stessa cosa che c’è sotto casa ci sembra tristissima, priva di qualsiasi fantasia e veramente deprimente; così come l’idea che ovunque si mangi e bevano le stesse cose. A quel punto ce ne staremmo a casa. Ci sembra anche tristissima la prospettiva che Starbucks possa occupare qualcosa di diverso dalla nicchia in un posto come l’Italia. Sono gusti personali e comprendiamo di non poterne discutere a lungo, ma il cappuccino di un bar italiano di livello medio-basso ha un potere unico e inimitabile di riconciliarci con il mondo la mattina presto e ci sembra oggettivamente superiore alle sue imitazioni “industriali”; vorremmo davvero che l’Italia rimanga per chi se la merita e un posto di turisti educati, e non diventi l’ennesimo resort senz’anima.
Quindi celebriamo pure Starbucks e la sua entrata in Italia, ma teniamoci un minimo di diffidenza per una direzione che si potrebbe prendere e che non ci sembra augurabile. Per il resto ci auguriamo che l’Italia, almeno su certe cose, sia rimasta la stessa del 1954; quella dell’americano di Roma, Sordi, che prova a sostituire una cena a base di maccheroni e vino rosso con un improbabile mix di pane, marmellata, mostarda e latte freddo “per combattere gli apache”; il tutto condito da espressioni americane buttate a caso (sembra di essere in un meeting di Milano del 2018 …). Il fascino della cena “americana” dura lo spazio di un minuto. E ci mancherebbe altro. Vuoi fare l’americano a Milano? Va benissimo, ma sappi che sarai sempre, esattamente come Sordi, un’imitazione riuscita male e fuori contesto, e perfino un po’ ridicola, come le tagliatelle alla bolognese piazzate nei peggiori bar per turisti di Venezia. Cappuccino e brioche mi hai provocato? E io ti distruggo…