Il 27 dicembre scorso la stampa ha dato notizia dell’allarme della Bce lanciato sull’Italia, a cui viene attribuita la responsabilità di un peggiorato saldo di bilancio che violerebbe gli impegni presi nell’ambito del Patto di stabilità e crescita. La Bce addirittura attribuisce all’Italia la più ampia deviazione rispetto agli impegni assunti e afferma che sul mercato i titoli pubblici italiani siano quelli che scontano il maggior differenziale di tasso, senza indicare che la causa di questa situazione sia proprio da attribuire all’operato della stessa Bce.
Infatti, i lettori dei miei articoli pubblicati su questo giornale sono già stati resi edotti di molte operazioni che sempre la Banca centrale europea aveva fatto intendere come funzionali per l’Italia, ma in realtà con esse si elargivano benefici di gran lunga superiori agli altri partners del consesso europeo se si esclude la Grecia.
La Bce e il Sebc (Sistema europeo delle banche centrali) in effetti hanno sempre operato con modalità che hanno danneggiato in maniera drammatica l’economia italiana sin dall’inizio della fondazione. Operazioni apparentemente neutrali, come il “changeover”, hanno subito inciso sul livello di indebitamento dello Stato e degli italiani; proprio sull’operazione di concambio lira/euro vorrei attrarre l’attenzione dei lettori.
Il 2 gennaio 2002 iniziò la fase del changeover; gli sportelli della Banca d’Italia furono interessati dal progressivo ritiro delle banconote e delle monete in lire sostituendole con le banconote in euro. Tuttavia il Sebc non effettuò il cambio alla pari, inteso nel senso di consegnare a fronte di ogni banconota in lire, la corrispondente banconota o moneta in euro; bensì ritirò tagli minuti consegnando tagli di importo cumulato notevolmente superiore e inutilizzabili nelle transazioni correnti. In pratica furono ritirate banconote in lire per un controvalore complessivo di 65,1 miliardi di euro e immesse in circolazione banconote in euro per 62,8 miliardi di euro (la differenza di 2,3 miliardi fu convertita in monete), ma di questi solo 38,3 miliardi rimpiazzò il circolante con tagli da 5, 10, 20 e 50 euro (ovviamente posizionandosi sul taglio più elevato fin ad allora poco utilizzato nelle attività di scambio, poco meno del biglietto che molti nemmeno ricordano di 100.000 lire). Gli altri tagli sono rimasti non utilizzati e riversati alla Banca d’Italia circa nove anni dopo, a partire dal 2011, tanto da indurre la Bce a non riemetterne in circolazione, a sospenderne la stampa e a ritirare definitivamente il biglietto da 500 euro dopo ben quindici anni di aumenti di prezzo (inflazione).
Cos’ha comportato il cambio di tagli piccoli con tagli di valore facciale più elevato? Che gli italiani sono stati costretti a procurarsi i tagli minori (monete e banconote di importo uguale o inferiore ai 20 euro) prelevandoli dalle banche commerciali. Di conseguenza l’ammontare della circolazione è andata progressivamente aumentando, ma ciò ha innalzato l’indebitamento degli operatori verso le banche commerciali e queste nei confronti della Banca centrale per un importo che a fine 2016 ha visto triplicare l’ammontare del circolante in banconote e crescere significativamente la quantità circolante in Italia di monete di altri Paesi europei di conio più elevato (1 e 2 euro).
Le monete costituiscono un finanziamento gratuito dell’Italia agli altri Stati, mentre la necessità di procurarsi i tagli delle banconote di minor importo ha comportato un esborso di miliardi di euro verso l’estero tale che ora tutto l’ammontare della circolazione monetaria contribuisce all’innalzamento del debito del nostro Paese verso l’estero (oltre 200 miliardi di euro di banconote straniere che al tasso del 4% ci costringono a pagare interessi crescenti a partire da 8 miliardi di euro per il solo 2018). Questo semplicemente per fare degli acquisti continuando a utilizzare l’euro.