Il caso Carige è presto finito in un tritacarne politico-istituzionale che, certamente, non sembra condizione favorevole a una soluzione rapida ed efficace della crisi aziendale. Il confronto complesso che si va dipanando attorno alla banca genovese è tuttavia una lente interessante per osservare gli sviluppi dei rapporti fra politica e finanza, non solo nella cornice italiana.



Dopo il commissariamento di Carige a opera della Bce subito dopo Capodanno e il decreto del governo che una settimana fa ha steso una rete di protezione pubblica attorno al gruppo, non sono mancate negli ultimi giorni prese di posizioni significative e non scontate. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sostanzialmente difeso l’azione del Governo: ha ricordato che perfino un illustre economista liberista come Luigi Einaudi sosteneva l’intervento pubblico per spegnere celermente focolai di crisi nel circuito del credito. 



Sarebbe stato singolare che Visco non appoggiasse una decisione dell’esecutivo italiano coerente con quella giunta dalla Vigilanza Bce, retta dall’inizio dell’anno dall’italiano Andrea Enria e soggetta alla responsabilità ultima del presidente Mario Draghi. Meno banale è che Visco abbia promosso come corretta, tempestiva, allineata agli standard Ue una decisione di politica creditizia da parte di un governo a maggioranza M5S-Lega. 

È un altro fatto – forse inevitabile, anche se probabilmente assai meno gradito a Visco e a Draghi – che alcuni esponenti pentastellati abbiano profittato della situazione per rilanciare un favore generale verso forme di rinazionalizzzaione dell’economia. Non si può dimenticare che l’ipotesi di creazione di un polo bancario pubblico attorno a Cdp e a Mps nazionalizzato compare in un comma M5S del contratto di governo. E la stessa logica politica continua a far dire al ministro grillino delle Infrastrutture che Aspi rischia la revoca della concessione, dopo il tragico crollo di Genova. Nel frattempo M5S sembra aver raffreddato la voglia di replicare in fretta la commissione parlamentare d’inchiesta sulle crisi bancarie: che il movimento aveva sostenuto dai banchi dell’opposizione alla fine della scorsa legislatura, benché l’iniziativa fosse stata presa dal Pd di Matteo Renzi e condotta dal governo Gentiloni.



Proprio l’ex premier-segretario del centrosinistra è stato protagonista di un grande attivismo politico-mediatico sul caso Carige. Renzi ha invitato il Pd a votare a favore del decreto Carige, ma con l’intento aperto di denunciare – da parte del nuovo Governo – l’utilizzo delle stesse ricette del vecchio, contestate da Lega e M5S all’opposizione. La finalità ultima, da parte di Renzi, sembra tuttavia quella di riproporre la “questione bancaria” come irrisolta sul piano finanziario e politico, dopo che quest’ultima ha finito per pesare quasi esclusivamente sul centrosinistra all’ultima tornata elettorale. Il leader Pd è il primo a volere una commissione-bis, nella quale – prevedibilmente – rilanciare le accuse a Bankitalia come presunta responsabile prima dei crac bancari e delle pressioni politico-mediatiche come il “caso Boschi”.

Sullo sfondo, naturalmente, non è difficile scorgere l’apprensione di Renzi per il possibile ritorno sulla scena italiana di Mario Draghi: dopo le elezioni europee e le decisioni sulla nuova presidenza Bce.

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