Per valutare il significato del caso Carige nella vigilanza e politica bancaria italiana ed europea occorre prendere le distanze dalle cronache e dalle polemiche immediate. L’istituto è stato senza dubbio gestito male da “padri padroni” entrati come impiegati di concetto o quasi e ascesi, tramite le prassi del “capitalismo relazionale” all’italiana, ai vertici dove consideravano la banca come “proprietà propria” e non dei risparmiatori, che a essa avevano offerto il risultato del loro lavoro e dei loro sacrifici, e ancor meno della collettività di cui, investendo oculatamente, avrebbe dovuto promuovere lo sviluppo. Ha, poi, avuto una compagine azionaria litigiosa e a lungo inconcludente che non è stata in grado di curare i mali trovati quando ha rilevato l’istituto e la sua guida.



Anche le polemiche sulle “garanzie” dello Stato e sull’eventuale supporto pubblico alla ricapitalizzazione sono, a mio avviso, fuori luogo. I lettori di questa testata sanno che non si sono mai fatti sconti al Governo giallo-verde (e neanche ai suoi predecessori), ma che politiche, programmi e misure sono sempre stati analizzati asetticamente sulla base delle migliori informazioni disponibili e dell’analisi economica.



In quest’ottica, il caso Carige non ha nulla a che vedere con le quattro banche fallite a fine 2015 e soprattutto con le vicende di Banca Etruria, in primo luogo perché i risparmiatori non ci hanno rimesso nemmeno un euro (mentre invece con l’inaspettato bail-in il valore di tutte le obbligazioni subordinate venne annullato) e in secondo luogo perché non c’è stato un esponente dell’istituto (e padre di un Ministro in carica) a chiedere alla Banca d’Italia, oppure alla Consob, o all’amministratore delegato di Unicredit di intervenire.

Ci sono, invece, ragioni per essere moderatamente ottimisti sulla futura evoluzione del caso Carige nello specifico e sulla vigilanza europea in generale. Con il commissariamento, gli effetti delle discordie tra i maggiori azionisti sulla gestione dell’istituto vengono bloccati (o quasi); correntisti, risparmiatori e azionisti (pure i litigiosi) vengono protetti e si può andare verso il risanamento. Senza il commissariamento, poi, non sarebbe stato possibile il decreto legge del 7 gennaio con il quale si estende la garanzia del Tesoro alle nuove obbligazioni emesse dalla Carige purché nel rispetto della normativa Ue sugli aiuti di Stato e si prospetta l’eventualità di un intervento dello Stato nel capitale. Tale intervento pare improbabile e comunque arduo, perché deve essere negoziato con la Commissione europea, che, dopo quello in Monte dei Paschi di Siena, non sarà affatto malleabile.



Il caso Carige, inoltre, mostra un orientamento positivo nel Meccanismo di vigilanza europeo (Mve). Nel primo lustro, quando è stata guidato da Danièle Nouy, la macchina della vigilanza bancaria europea ha dovuto sviluppare la propria cultura amalgamando quelle di circa seimila addetti tra dipendenti della Banca centrale europea e quelli delle Banche centrali nazionali. Semplificando si può dire che si contrapponevano due visioni: una più orientata alla “disciplina di mercato” e una più orientata all’intervento dello Stato contro le crisi. La prima più angloamericana, la seconda più continentale. Nei primi cinque anni di vita del Mve è parsa prevalere la prima concezione, ora, con Andrea Enria alla guida del Mve, potrebbe prevalere l’altro approccio che sembra più adatto al sistema bancario europeo, e in particolare a quello italiano, ancora in fase di ristrutturazione.

La svolta della vigilanza e il caso Carige sono anche uno stimolo a fare passi avanti in materia di unione monetaria. Sul campo bancario e finanziario è un monito a completare l’unione bancaria (con la “garanzia” europea sui conti corrente) e a dar vita all’unione del mercato dei capitali per poter contare su un sistema sano e competitivo a livello internazionale con istituti più grandi e più robusti.

Pericoloso farsi illusioni che i miglioramenti si possano vedere nel breve periodo. Messa Carige su un binario promettente, è su tutte le cronache il “pasticciaccio” della Popolare di Bari, che pare sull’orlo del tracollo. Le lezioni dal Mve possono essere utili per la Popolare di Bari e altri casi analoghi.

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