“Il prossimo editto della Bce – commenta a voce bassa il vecchio banchiere nauseato – ricorderà quelle piastrelle di maiolica che campeggiano nelle drogherie di paese: ‘Qui si fa credito soltanto ai novantenni purché accompagnati dai genitori'”. Genitori italiani, naturalmente. Perché le sofferenze bancarie – pardon, i “non performing loans” (npl), cioè i debiti che non rendono più perché i debitori non pagano le rate di rimborso – non sono più un ingombro sostenibile dalle banche italiane nei loro conti dopo le ultime norme che la Banca centrale europea, e precisamente la sua divisione di vigilanza, guidata paradossalmente dall’italiano Andrea Enria, ha dettato a tutti gli istituti: la Bce prescrive di aumentare la copertura sugli Npl al 100% in sette anni, non solo sullo stock di crediti deteriorati, ma anche sui nuovi flussi: una sorpresa, una batosta. Che ha fatto crollare i titoli bancari in Borsa.



Inoltre, le banche potranno sì adottare una certa discrezionalità nello stabilire quali crediti siano da considerare “non performing”, ma questa loro discrezionalità la Bce avrà il potere di decidere con altrettanta discrezionalità. Non occorre credere alle scie chimiche e alla terra piatta per temere che dietro quest’ampia delega di discrezionalità la Bce possa fare una sua “politica creditizia” rivolta verso questo o quel Paese, che certamente collocherebbe l’Italia tra due fuochi: quello della Commissione sul fronte della finanza pubblica e quello della Bce sul fronte delle banche.



Da Roma, letti i giornali, il vicepremier Matteo Salvini ha tuonato, e vale la pensa rileggere quel che ha detto: “Il nuovo attacco della vigilanza Bce al sistema bancario italiano e a Mps dimostra ancora una volta che l’Unione bancaria, voluta dalla Ue e votata dal Pd, non solo non ha reso più stabile il nostro sistema finanziario, ma causa instabilità, colpendo i risparmi dei cittadini e un sistema bancario, come quello italiano, che aveva retto meglio di tutti alla grande crisi finanziaria del 2008. L’atteggiamento prevaricatore della Bce, che scavalca aggravandole le recenti decisioni della Commissione, pone anche un altro tema fondamentale: può un’istituzione non politica prendere con leggerezza decisioni che influiscono profondamente sulla vita e i risparmi dei cittadini? Indipendenza non vuol dire irresponsabilità. Occorre quindi una trasparenza assoluta sulle decisioni della Bce, come è stato recentemente ribadito dalla stessa Corte dei Conti europea, che lamenta di non essere messa dalla Bce in condizione di controllare i motivi di decisioni così rilevanti per i portafogli dei risparmiatori. Questa trasparenza è necessaria per scacciare il dubbio che la Bce faccia un uso politico dei poteri che le sono attribuiti. L’ennesimo intervento a gamba tesa della Bce può creare un danno all’Italia da 15 miliardi”.



Sante parole, ma vane, con tutto il rispetto di Salvini: perché l’ordinamento europeo pone oggi la Bce in una condizione di indipendenza dalla politica che sconfina nell’indifferenza. E quindi anche se i poteri politici europeo volessero moderarla, non potrebbero. Se anche il Parlamento europeo che emergerà dal voto del 26 maggio volesse cambiare le cose, impiegherebbe anni per farlo. E nel frattempo…

Forse da questa consapevolezza è stata dettata la replica alla decisione della Bce espressa dal ministro Giovanni Tria, di tutt’altro tenore: “Gli Npl si stanno riducendo continuamente secondo i programmi europei e questo è certificato. Non c’è alcun problema da questo punto di vista”. Come dire: stiamo parlando di niente. Pur sapendo, com’è ovvio, che invece si parla – eccome – di cose pesanti.

Non può non saltare agli occhi, per un confronto frustrante, la situazione critica in cui versa la prima banca tedesca, la Deutsche Bank, crollata in tre anni da 34 euro a meno di 8, oppressa da un carico di ben 48 mila miliardi di euro di derivati in valore nozionale (che non significano debiti, ma rischio sì) che – come banca – ha un modello di business confuso ed è considerata in odore di fusione con la Commerzbank, istituto già salvato dall’erario pubblico tedesco dopo la crisi del 2009. Dunque la Deutsche è considerata sana, e invece le banche italiane – libere dai derivati – sono decotte perché hanno prestato denaro.

È un modo distopico di guardare al mestiere del credito. Un modo per estinguerlo, anzi: come del resto è stato se non estinto compresso al minimo negli Stati Uniti, rispetto ai livelli europei. Ma una simile migrazione da un modello all’altro, soprattutto se imposta bruscamente, comporterebbe per il sistema uno stress test difficilissimo da superare…