Ritengo doveroso uscire dal coro dei media in merito alle dichiarazioni del governatore della Banca d’Italia che, per giustificare l’intervento dello Stato nella risoluzione delle crisi bancarie, si è appoggiato alle affermazioni di un suo emerito predecessore, Luigi Einaudi. Questi, che per la sua fede liberale (ma aggiungo non liberista e non globalista) disdegnava l’intervento dello Stato nelle imprese e nelle banche, era però convinto di “dare, dare, dare” in caso di crisi di liquidità per rassicurare il pubblico ed evitare danni più rilevanti alle altre banche e all’economia.
Al riguardo, mi preme evidenziare che l’affermazione di Einaudi veniva fatta in un contesto completamente diverso dall’attuale; infatti, all’epoca il sistema bancario italiano era quasi totalmente di proprietà pubblica, pertanto un intervento statale spostava la ricchezza dei cittadini da un’area pubblica a un’altra area sempre di proprietà pubblica, pertanto lo spostamento non comportava un trasferimento di ricchezza, bensì consisteva in una semplice scelta di opportunità che, conseguentemente, era lineare e facilmente comprensibile.
Adesso il quadro è completamente mutato; il sistema bancario che opera in Italia non solo non è di proprietà pubblica, ma privata, e la proprietà delle banche è essenzialmente di soggetti stranieri nel mentre le ultime banche di proprietà italiana, grazie proprio alle decisioni del governatore Visco che hanno indotto il governo a ritirare le modifiche alla destrutturazione del sistema delle banche di credito cooperativo – dopo quella delle banche popolari -, hanno reso contendibili le ultime aziende bancarie appartenenti a soggetti italiani.
Ne consegue che un intervento statale a favore delle banche in crisi di liquidità andrebbe addossata all’organo di vigilanza, il quale peraltro attualmente risulta essersi riservato la proprietà delle emissioni delle banconote in euro senza riconoscere alcunché ai cittadini espropriati. Invece l’auspicato sostegno dello Stato comporta che questo deve indebitarsi proprio con le dirette beneficiarie dell’assistenza statale (le banche che potrebbero vedersi destabilizzate), pagando altresì alle stesse aziende gli oneri finanziari aggiuntivi per ottenerne il finanziamento. Lo Stato, poi, per rimborsare il prestito è costretto a caricare sui cittadini nuove imposte o minori servizi, senza averli coinvolti nelle decisioni.
Inoltre, è doveroso evidenziare come lo Stato, oltre a trasferire ricchezza pubblica a favore di privati (per giunta stranieri), non riesca nemmeno a ottenere un ristoro da questo intervento, atteso che questa “nostra” Europa non gradisce che l’autorità governativa italiana possa entrare nella compagine azionaria della proprietà delle banche sovvenute o delle quali si assume il rischio.
Anche in questo caso, come in quello riguardante le emissioni di monete metalliche, l’Italia si comporta da finanziatrice a tasso nullo nei confronti dei Paesi definiti “no Pigs”, facendo lievitare il debito pubblico, onde consentire a questa Europa di intervenire per imporci di limitare le nostre capacità espansive attraverso la bocciatura degli scoperti di bilancio.
In sintesi, l’intervento di salvataggio di una banca da parte dello Stato italiano segue la linea di privatizzare gli utili e socializzare le perdite.