Il 2019 si apre più nel segno della scommessa che dell’incognita. Il potere politico, infatti, dopo una dura lotta, portata avanti con una insolita, lunga, discutibile strategia, scommette su una decisa ripresa dell’economia che dovrebbe ripagare e sostenere gli impegni di spesa, così come dovrebbe scongiurare calamità irreparabili, sul piano economico. La manovra da circa 30 miliardi, infatti, dovrebbe essere la leva per tante cose, compreso la necessità di evitare le famose clausole di salvaguardia sull’Iva che – da sola – sarebbe un salasso da oltre 50 miliardi in tre anni.



Le forze vive dell’economia mugugnano o dissentono, segnalano la permanenza o la crescita della pressione fiscale e in generale la mancanza di un vero segnale in direzione di sviluppo, ricerca, formazione, investimenti.

Il sistema bancario sembra arrivare silenzioso nel nuovo anno. Intanto perché più di qualcuno non ama più troppo l’idea stessa di “sistema” indistinto, che raduna al suo interno soggetti con grandi differenze. Nel “sistema” infatti convivono le autentiche punte di diamante del panorama bancario europeo, con quelli che invece navigano a vista. La pressione sui valori di borsa poi, che sta pericolosamente e ingiustamente frustrando il pur apprezzabile lavoro fatto negli ultimi tre anni e che è il prezzo di una legittima sfida politica in atto, nonché la scelta di caricare sulle banche parte del prezzo della scommessa detta prima, irretiscono il mondo bancario dal dire la propria. Che è tra l’altro – quello di comunicare – il mestiere che in generale fa peggio e su cui proprio non riesce a svecchiarsi.



Il dossier apparentemente più urgente nell’anno nuovo è il caso Carigecarige. Che però non è un grande caso. È piuttosto una prova. Perché nessuno investe in una banca con una storia plurisecolare e una struttura e un know how che – tra l’altro – la caratterizza come un Gruppo con offerta diversificata nelle assicurazioni e nei servizi collaterali al credito e al risparmio, come va tanto di moda oggi e come fanno i migliori? Perché il Creval (Credito valtellinese) ha portato a casa l’aumento di capitale da 700 milioni e Carige fra baruffe, indiscrezioni, patronati e rese dei conti si arena su appena 400?



La risposta, parlando degli affari di casa propria, forse l’ha data proprio Miro Fiordi, il Presidente del Creval che nel novembre 2017, annunciando il suo aumento di capitale, generava uno scossone di borsa di qualche giorno. Perché mentre il Governo del momento narrava la favola della ripresa e dei grandi traguardi raggiunti, il Presidente della banca delle laboriose valli prealpine ricordava che la perdita del 25% del sistema produttivo e di 10 punti di Pil non sono un raffreddore. E che il prezzo e lo strascico è lungo da digerire. Questo è il tema cruciale che non sanno comunicare le banche, rivolgendoci al passato e che ancora incide sull’imminente futuro. Perché a costo di apparire eccentrici e contro il penoso e immaginifico copione del disegno neoliberista che vuole imporre il suo schema e svuotare di ruolo qualunque centro di interesse intermedio o periferico, la crisi del cosiddetto sistema bancario (italiano) è stata crisi del (cosiddetto) sistema produttivo, immaturo, ancora opaco e bancocentrico. La crisi delle banche era fuori di esse.

E queste storie (incluse le ancora mal comprese tragiche vicende delle popolari venete) qualche spunto lo dovrebbero offrire. Rileggere, per esempio, quale senso della prospettiva e in quali anni e in quanto tempo si siano poste le basi della robustezza delle grandi, oppure – per restare ai casi citati – la responsabilità e la serietà con cui Creval ha gestito i suoi passaggi, il passo indietro di Miro Fiordi, che già da anni prestava grande attenzione alle nomine nel Cda e alle scelte industriali, dovrebbe aiutare sia a tracciare una rotta che a stabilire una gerarchia di valori. In cui qualità delle classi dirigenti, credibilità individuale e dignità culturale della massa critica ambientale e territoriale hanno peso, ruolo e determinano conseguenze.

L’importante è non illudersi che ci siano stati i bravi e i cattivi, i molto inclini al malaffare e i furbastri che hanno saputo fare meglio il loro mestiere. I migliori e i peggiori hanno avuto il medesimo sottostante e si sono salvati e irrobustiti o sono precipitati sulle stesse condizioni di partenza. E a queste che bisogna guardare per capire cos’è accaduto in passato e come si presentano e cosa propongono oggi per domani, gli attori del sistema economico.

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