Dopo la firma dell’accordo strategico tra Francia e Germania ad Aquisgrana in Italia servirebbe un salto di qualità nel dibattito sulla nostra collocazione “economica”. Che l’accordo privilegiato tra Francia e Germania spacciato per un rafforzamento dell’Unione Europea crei nei fatti un nucleo forte che decide e una serie di satelliti in una condizione più o meno privilegiata è abbastanza chiaro. Esattamente come è chiaro che l’Ue non funziona, per ora, con un Parlamento che decide ma con un equilibrio consolidato in cui alcuni stati hanno più capacità di indirizzare e influenzare l’Unione, l’applicazione delle sue regole e le sue strutture.



Questo salto di qualità nel rapporto tra Francia e Germania in chiave “europea” ha delle conseguenze importanti per l’Italia. L’Italia è il principale concorrente europeo della Francia sia in ottica mediterranea, sia nell’industria della difesa ed è concorrente della Germania in moltissimi settori industriali; un paio di decenni fa la concorrenza con la Germania era molto più ampia prima del declino industriale italiano esemplificato, tra i tanti, nell’epopea della Fiat.



Sulle “partnership” europee c’è sempre stata una differenza abissale tra realtà e narrazione; sull’industria della difesa, per esempio, questa differenza ha raggiunto vette indicibili perché i prodotti di punta dell’industria italiana venduti in mezzo mondo non hanno mai venduto nulla dall’altra parte delle Alpi dove, in un’ottica veramente “europea”, al posto di comprare “italiano”, ed europeo, si temporeggiava in attesa di colmare il gap tecnologico con un prodotto concorrente. Se non vi fidate di quello che vi diciamo noi chiedete a qualcuno che queste cose le ha toccate con mano e vi confermerà. La sostanza è che queste “partnership” vanno bene solo quando sono a guida francese.



Nella sostanza i nostri partner europei sono sempre stati molto lucidi e disincantati su cosa fosse l’Unione Europea e sul fatto che fosse un mezzo per farsi concorrenza, un amplificatore dei propri, inevitabili, interessi nazionali a discapito dei concorrenti. Noi italiani abbiamo avuto e abbiamo tuttora un rapporto “malato” perché siamo gli unici ancora rimasti a credere che ci sia un progetto “europeo” che non sia quello che ci hanno detto ieri Francia e Germania, le quali non hanno nessun interesse a rafforzare l’Unione e le sue istituzioni simil-democratiche. Questo rapporto “malato” è frutto di tanta ideologia su un’Europa che nasceva, cresceva e si sviluppava senza democrazia reale e senza Costituzione e su tante opacità e complicità; il diluvio di legion d’onore piovuto sull’Italia negli ultimi vent’anni da un Paese che, appunto, è nostro concorrente e con cui abbiamo un rapporto economico sbilanciato non è frutto dell’amore per l’Europa dei nostri amici francesi. Oggi chi difende una certa evoluzione del dibattito europeo dovrebbe quanto meno avvisarci, nel caso, di un possibile conflitto di interesse; come nei prospetti informativi di certi titoli. Magari sono opinioni sentite, però ci sentiamo più tutelati se certe cose vengono esplicitate.

Il rapporto tra Italia e Francia negli ultimi due decenni, al di là di probabili “tradimenti” e svendite, è stato forse il tentativo di creare un asse franco-italiano in chiave “anti-tedesca”. Si pensi solo al fatto, inconcepibile a parti invertite, che l’ad della prima banca italiana e della prima assicurazione italiana, con tutto quello che questo comporta in termini di sovranità reale, sono francesi; per non parlare dell’energia, del risparmio, delle banche, dell’industria alimentare, ecc. Un rapporto con un Paese che è riuscito a convincerci di essere economicamente più sano del nostro.

Dall’inizio degli anni 90 il debito pubblico francese è più che raddoppiato mentre il nostro, con in mezzo una crisi dei debiti sovrani su cui “l’Europa” ha delle evidenti responsabilità, è cresciuto del 30%. Vista la “storia” dei rapporti tra Francia e Italia e tra Germania e Italia una partnership privilegiata in chiave “europea” rischia di diventare il completamento di un processo di “colonizzazione” su cui anche l’Italia ha responsabilità.

La domanda che occorrerebbe farsi è quale sia il ruolo dell’Italia in un’Europa “diretta” da un rapporto così privilegiato tra Francia e Germania che sono i nostri più diretti concorrenti; come abbiamo imparato definitivamente e senza possibilità di smentita dalla guerra in Libia. Visto che abbiamo perso, con colpe e tradimenti, il processo di integrazione europea e oggi siamo una semi-colonia quello che bisognerebbe chiedersi, senza ideologie, è con chi dovremmo stare e chi dovremmo scegliere nei nostri rapporti politici ed economici; quanto meno per capire se ci sono alternative e nel caso cosa offrono. Perché da ieri, visto che ad Aquisgrana non ci hanno invitati, quale sia il nostro ruolo oggi e domani in Europa è molto più chiaro.