L’Europa sta attraversando certamente un momento particolare, non solo per via dell’incertezza sulla Brexit, ma anche per i rapporti a volte conflittuali, a volte invece stretti e rafforzati, tra i suoi paesi membri. Al termine di una settimana che ha visto la firma del Trattato di Aquisgrana e un vivace scambio di vedute tra Italia e Francia, abbiamo fatto un punto con Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, che non sembra particolarmente pessimista sulla situazione che abbiamo davanti.



Professore, cominciamo a parlare del trattato firmato tra Francia e Germania ad Aquisgrana.

Credo che porti a una maggiore chiarezza, perché è la testimonianza concreta di un rapporto privilegiato tra Francia e Germania che esiste da tempo. Lo stesso modello di Unione europea è nato come un accordo tra Mitterrand e Kohl. In un momento di difficoltà, quindi, i due partner storici dell’accordo iniziale si sono incontrati e hanno ribadito pubblicamente quello che era noto a tutti. Trovo invece significativo l’intervento di Conte per chiedere un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu per l’Ue.



Perché?

Perché l’assetto dell’Onu è ancora adesso sostanzialmente un’eredità della Seconda guerra mondiale. Se vogliamo davvero parlare di Europa, di Unione europea, la proposta del Premier mi sembra sembra particolarmente significativa, è un atto non solo simbolico.

Negli ultimi giorni sono stati piuttosto accesi i toni tra Italia e Francia. Cosa ne pensa?

Ci sono degli elementi fattuali che non si possono negare. L’Italia ha delle questioni aperte con la Francia che non riguardano solo l’accoglienza dei migranti, ma anche la proprietà delle imprese. Non so adesso come finirà la vicenda Fincantieri-Stx, ma ero rimasto sconcertato quando venne stipulato quell’accordo con cui praticamente si metteva in mano ai francesi una grande impresa italiana. Se cessasse l’emorragia di imprese acquisite dall’estero sarebbe un bene per il nostro Paese, in particolare per il lavoro.



Come vede la situazione economica del nostro Paese, visto che si parla di rischio recessione, anche se Mario Draghi è sembrato più ottimista?

Il primo mese del 2019, almeno sui mercati finanziari e per lo spread, è stato buono. Se riconquistiamo un briciolo di fiducia in più, piuttosto che in meno, questo ci fa solo bene. Le nostre imprese, pur lottando disperatamente, continuano a fare bene anche sul piano delle esportazioni. Ci troviamo in un momento in cui esistono seri problemi di rallentamento dell’economia mondiale e non possiamo trascurare il fatto che un Paese in particolare, la Germania, è esplosa sui mercati asiatici. Certamente l’economia tedesca avrà un contraccolpo adesso, ma ci sarà pure un momento in cui si porrà sul tappeto il fatto che noi abbiamo un’Unione europea in cui l’eterogeneità dei paesi nel loro grado di sviluppo è enorme. E dove c’è anche lo spazio per una crescita virtuosa.

Quale spazio?

C’è un mercato che per via del fatto che con la globalizzazione si sono aperte le frontiere dei mercati asiatici ha finito con l’essere sottovalutato: in un momento di crisi una ciambella di salvataggio ce l’abbiamo già, sono i nostri mercati europei che hanno bisogno di svilupparsi. Dunque c’è un mercato che per dimensione si pone tra Stati Uniti e Cina. Possiamo crescere liberandoci dalla politica di austerità che è stata praticata in modo poco equilibrato nel corso degli ultimi 10 anni.

Ritiene che un’Europa guidata da Francia e Germania possa superare le politiche di austerità degli ultimi anni?

Questo potrebbe essere un vero punto di divergenza tra Germania e Francia, perché quest’ultima, pur avendo sulla carta delle potenzialità, perché ha una serie di grandi imprese particolarmente forti, non è forte come la prima. C’è ancora purtroppo un modo di rappresentare le politiche di austerità e il rimbalzo dell’economia che c’è stato dal 2015 in poi che è a dir poco eccessivo. Per fare un esempio, il Pil della Spagna è sì cresciuto, ma c’è ancora un’elevata disoccupazione. Siamo forse l’unica grande area in cui non c’è solo un problema di disuguaglianze interne ai paesi, ma anche tra paesi stessi.

Come superiamo queste disuguaglianze e l’austerità.

Credo che le elezioni europee sono un’occasione da non perdere, perché il nuovo Parlamento può consentire una visibilità dei problemi che vengono oggi nascosti, primo dei quali gli effetti delle politiche di austerità. Credo che in questo modo potremo passare dalle parole, come il mea culpa di Juncker, ai fatti.

(Lorenzo Torrisi)