La faccia di Mario Draghi nel corso della conferenza stampa post-board di giovedì scorso diceva tutto: parlava più delle parole, misurate, che il suo ruolo lo ha costretto a centellinare. Ma quel suo parlare di “rallentamento”, “Brexit”, “protezionismo” e “rischi al ribasso” questa volta non è stato rituale come è apparso per mesi e mesi, riunione dopo riunione. Stavolta la preoccupazione c’è davvero, tanto che anche i media più mainstream e conservativi hanno detto chiaramente che il suo rassicurare il mercato rispetto a tassi fermi come pietre fino all’estate è apparso soltanto il prodromo preparatorio a manovre ben più drastiche che verranno annunciate con la riunione del board di marzo. In primis, nuove aste Tltro per il sistema bancario dell’eurozona. Rifinanziamento a lungo termine, quattro anni. E questo grafico mette in prospettiva le dinamiche attese per quanto riguarda lo stato patrimoniale della Bce, di fatto un proxy della sua operatività futura che, a oggi, pare ufficialmente limitata al reinvestimento in pieno dei bond già in detenzione. Quasi certamente, con uno swap sulle scadenze al fine di privilegiare quelle più lunghe per determinare un indiretto ma efficace scudo anti-spread per i debiti più vulnerabili agli shock. Italia in testa, visto che il nostro differenziale ormai pare impiantato in area 250 punti, qualsiasi cosa accada.
Fateci caso, non c’è più un telegiornale che aggiorni su quel dato: solo a novembre, era invece appuntamento fisso. Di più, Mario Draghi ha detto chiaramente che in caso di peggioramento della situazione, tutte le armi di cui la Bce dispone sono pronte a essere utilizzate: leggendo fra le righe, un annuncio indiretto di un cambio di forward guidance alle porte. Il grafico appena pubblicato parla chiaro: nelle proiezioni di Ubs, una nuova asta di rifinanziamento e di una certa entità è già scontata per mantenere il livello di espansione “tipo” rispetto al Pil. E come forse ricorderete, nel mio articolo dell’altro giorno vi davo conto del giudizio al riguardo espresso proprio dal presidente del Consiglio di amministrazione di Ubs, l’ex numero uno della Bundesbank, Axel A. Weber, a Davos. «Una politica di normalizzazione dei tassi in questo ciclo è già abortita», disse. Di fatto, l’atto primigenio del Qe perenne, in attesa di Fed e Pboc.
Nulla di nuovo, ve lo dico chiaramente da trimestri e, guarda caso, ora tutti sembrano concordare, seppur con differenti gradi di adesione alla nuova narrativa, al new normal. Ma c’è dell’altro e di più interessante, perché ci riguarda direttamente come Paese. Guardate questo grafico, ci mostra la comparazione degli order books di emissioni sovrane di Italia, Spagna e Portogallo di inizio anno con quelle del 2018 nello stesso periodo: è tornata la voglia di Club Med sui mercati! Non a caso, aste piene e spread fermo.
Cosa vuol dire questo, che la presunta fine del Qe ci fa un baffo e che l’Italia riesce a stare in piedi sulle sue gambe da sola, a livello di rifinanziamento del suo debito pubblico, nel frattempo arrivato al record storico? No. Significa altro, un qualcosa che spiegherebbe l’aumento della tensione palpabile fra i due alleati di governo in queste ore e giorni. Spiegherebbe la tensione diretta sulla Tav, sulle trivelle nello Ionio, lo sgambetto dei Cinque Stelle sul provvedimento legato alla legittima difesa che ora dovrà tornare in Aula e, forse, anche la decisione dei Tribunale dei ministri di richiedere l’autorizzare a processare il ministro Salvini per sequestro di persona, legato al caso Diciotti. Qualcuno, infatti, sta creando le condizioni per un voto non palese che impallini il leader leghista e faccia cadere un secondo dopo il governo? Si vuole creare la tentazione irresistibile in qualcuno? Una cosa è certa, il nostro debito sta vivendo un momento d’oro. Così come quello spagnolo e portoghese. Di cui, però, francamente mi frega poco.
Cosa rende così appetibili i nostro Btp e Bot? Forse la prospettiva dei navigator e del reddito di cittadinanza? Forse quota 100? Forse i porti chiusi verso le navi dei migranti? O la polemica perenne e degna di miglior causa con la Francia sul franco Cfa? No, il combinato congiunto di tre variabili. Primo, la tregua sancita con la Commissione Ue sulla manovra, dopo settimane di patetico e sterile abbaiarsi addosso come cani randagi. Secondo, la certezza che la Bce tornerà in azione a causa del peggioramento generale della situazione economica, quindi si sconta il fatto che a beneficiare da subito di quel supporto saranno i Paesi con dinamiche debitorie peggiori. E, nel caso italiano, con nessi diretti fra debito pubblico e sue detenzioni di massa da parte del sistema bancario, il quale già a marzo potrà contare sull’ossigeno delle aste di rifinanziamento. Terzo e confermato dal dialogo fuorionda fra Giuseppe Conte e Angela Merkel a Davos intercettato e mandato in onda giovedì sera da Piazza Pulita, la progressiva e sempre più veloce diluizione dell’influenza e del potere di interdizione dei 5 Stelle nelle politiche di governo. Di fatto, prima il loro netto ridimensionamento già alle europee e poi la loro lenta sparizione, spaccati dai contrasti interni, dalle lotte fra correnti e, soprattutto, dal palesarsi agli occhi anche degli elettori più incantati della loro sconcertante incapacità e del loro dilettantismo lesionista. Insomma, Giuseppe Conte fa buon viso a cattivo gioco: si presenta sul palco della kermesse pentastellata per festeggiare il reddito di cittadinanza, ma, nei contesti che contano, media ad alti livelli, getta acqua sul fuoco e, soprattutto, si comporta come ha fatto con Angela Merkel. Rassicurando i leader stranieri e, di fatto, sputtanando i 5 Stelle, parlandoci molto chiaro.
Perché quelle parole alla leader tedesca sembrano altrettante giustificazioni rispetto a un suo obbligo politico – forse istituzionale – di blandire anche le richieste un po’ farsesche dei grillini, poiché molto nervosi a causa dei sondaggi: insomma, primum vivere. Poi si penserà alla filosofia. E con Mario Draghi alle spalle, come testimoniato dal rally di ieri mattina a inizio contrattazioni per tutti gli indici europei, nonostante le cattive notizie giunte dagli Usa, sia sul fronte shutdown che su quello dei colloqui con la Cina. Ora la componente raziocinante del Governo, al netto della faccia feroce da campagna elettorale sull’immigrazione, può ragionare su come affrontare seriamente la recessione in arrivo, a partire da una manovra correttiva del buonsenso che potrebbe vedere Forza Italia correre in supporto dell’ala leghista dell’esecutivo su provvedimenti qualificanti i campo economico.
Primo dei quali, disinnescare del tutto l’azzardo assurdo del reddito di cittadinanza erogato a pioggia già da aprile, di fatto una mancia a fondo perduto e finanziata totalmente in deficit. Si romperà del tutto, fra Lega e 5 Stelle? A questo punto, tutto è possibile. La tensione è altissima e Giuseppe Conte ci ha preso gusto con la politica, altro che occuparsi delle lotta alla tratta dei migranti, una volta abbandonato palazzo Chigi. L’intoppo si chiama M5S, il mercato lo sa e per ora attende che il lavorio dello scomodo alleato leghista porti i suoi frutti in termini di sfinimento politico del rapporto. In caso contrario, basterà una fiammata dello spread a tempo debito, per accelerare certe dinamiche.
E non ci vorrà molto alla Bce per favorirne l’arrivo sugli schermi delle sale trading e, magari, nei risultati di bid-to-cover di qualche asta importante da qui a primavera, tanto da creare chiasso sulla stampa, dopo le settimane di pace con i mercati che stiamo vivendo ora e che testimonia il secondo grafico di oggi. È solo questione di tempo, occorre aspettare che a Francoforte il capo della Bce prepari per bene il terreno alla sua partenza autunnale, poi tutti i tasselli andranno a posto. I mercati vogliono una cosa sola, in vista della battaglia comune contro la recessione certa e una più che probabile crisi finanziaria: la fine politica dei 5 Stelle. Tutto il resto, è risolvibile. I gilet gialli sono ormai farseschi e divisi, oltre che manovrabili, il Brexit un boomerang ormai totale, Alternative fur Deutschland incapace di andare oltre il recinto dell’opposizione di testimonianza e anche il miraggio della ricetta trumpiana in economia sta dissolvendosi, giorno dopo giorno.
Insomma, c’è una flebile luce alla fine del tunnel, prima di entrare in quello davvero lungo e insidioso della depressione globale. Salvo evitare strani colpi di testa o alzate d’ingegno come quelle tardo estive in sede di Def, ma il silenzio cui sono stati ridotti i vari Savona, Bagnai e Borghi nell’ultimo periodo, pare certificare un graduale ritorno alla ragione e al pragmatismo in casa Lega. Il peggio è davanti a noi, sia chiaro. Ma affrontarlo senza Di Maio e soci cui dover dare retta e conto, come hanno dimostrato le parole di Conte alla Merkel, sarà come tornare a correre senza zaino in spalla e pesi alle caviglie. Poi, toccherà a noi. E sarà dura.
Attenzione, però, a non tradire le aspettative e l’apertura di credito di cui stiamo godendo: certe lune di miele, se vedono consumarsi al loro interno un tradimento anche fugace, portano a divorzi assicurati e feroci. E con spese per alimenti molto, molto onerose per il futuro.