“Negli Stati Uniti la recessione non c’è, se ne accorgeranno le Borse?”. Dopo che nelle ultime sedute, da Ibm a Procter & Gamble, i giganti di Wall Street hanno messo a segno robusti rimbalzi, grazie a dati trimestrali incoraggianti – e lo stesso hanno fatto alcune tra le principali banche, tra cui Bank of America e CitiGroup, con conti sopra le attese – per Alessandro Magagnoli, analista tecnico e cofondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline) – “una fase di ripresa duratura delle Borse, a questo punto, non si può escludere. Certo, è probabile che dopo il 2020 ci sarà effettivamente una recessione; le banche centrali continueranno a drenare liquidità; il rallentamento cinese, per quanto ben pilotato, avrà ripercussioni a livello globale, ma oggi sono tanti i titoli, anche ciclici, che fanno di tutto per smentire le cassandre che a dicembre avevano causato, con insistenti voci di una recessione imminente, il calo del 20% circa dell’S&P 500 dai massimi storici”.
Il fatto che i dati trimestrali siano buoni, in molti casi superiori alle attese, dà ragione alla Fed e alla sua politica di rialzo dei tassi messa in atto nel 2018?
Sì, ma adesso, dopo la paura del mese di dicembre – e le non tanto velate minacce di Trump di cambiare cavallo alla guida della Banca centrale -, i mercati non si aspettano un nuovo rialzo dei tassi almeno fino al prossimo giugno.
Il ribasso delle Borse di dicembre è alla base della contrazione del P/E dei titoli quotati all’S&P 500?
Il ribasso ha fatto registrare il terzo peggior calo da 40 anni a questa parte: solo il 2002 e il 2000 erano andati peggio. Ovviamente a soffrire di più sono stati i settori ciclici, ma come dimostrano le recenti trimestrali forse gli operatori si sono fatti prendere un po’ troppo la mano con le vendite, senza che ci fossero evidenze di un vero rischio di un imminente drastico calo della crescita. Condizioni simili a quelle del 2018, dove si è vista una rapida diminuzione del P/E e una crescita piatta o leggermente negativa della Borsa senza che l’economia entrasse in recessione, hanno favorito, come è successo nel 1984 e nel 1994, la realizzazione di robusti rimbalzi l’anno successivo.
Che segnali grafici arrivano dall’S&P 500?
Lo “swing” dal picco del gennaio 2018 – ribasso fino a febbraio, lento rialzo fino a settembre, rapida discesa fino a dicembre – potrebbe anche essere una correzione conclusa. L’ampiezza della terza fase dello “swing”, il ribasso dal picco di settembre ai minimi di dicembre, è esteso circa 1,618 volte il ribasso di gennaio-febbraio. E se si guarda il grafico settimanale, si nota come il target della proiezione dell’ampiezza del primo ribasso per 1,618 si colloca a 2.380 punti circa, livello violato in “intra week”, ma dal quale è partito un forte rimbalzo, tanto che la chiusura della settimana del minimo di area 2.380 è poi stata registrata a 2.485 punti. I minimi di dicembre, va detto, si collocano sulla media mobile esponenziale a 200 settimane, supporto dimostratosi di fondamentale importanza nel 2016.
Che cosa significa tutto ciò?
Per la teoria delle onde di Elliott lo “swing” ribassista potrebbe essere una terna correttiva ABC ormai conclusa. E una conferma in questo senso l’avremmo solo oltre i record del 2018 a 2.941 punti, ma già la rottura della vicina resistenza a 2.715 punti, 61,8% di ritracciamento del ribasso dal top di settembre (percentuale di Fibonacci), potrebbe essere un primo indizio in favore di una ripresa duratura.
L’alternativa quale potrebbe essere?
Che lo “swing”, l’oscillazione vista tra gennaio e dicembre 2018, sia stato solo il primo elemento di una correzione complessa della quale attualmente si sta sviluppando la fase intermedia. Il che ci porterebbe a dover fronteggiare una fase ribassista molto simile come ampiezza e durata a quelle del 2000-2002 e del 2007-2009. Ma tutto questo senza che ci sia davvero una recessione?
E’ possibile, allora, che gli operatori cerchino di aggiustare i loro portafogli?
E’ possibile o probabile. Del resto, un mercato azionario in calo di oltre il 20% è giustificato, o almeno lo è stato negli ultimi 50 anni, solo da fasi recessive evidenti e prolungate. Nel 2000-2002, infatti, la Borsa lasciò sul terreno il 50% circa, ma lo fece appunto in quasi tre anni e a fronte del disastro delle “dot com”; nel 2007-2009, con la crisi dei mutui subprime, la Borsa perse quasi il 60% in due anni circa. Prima di allora l’unico calo vicino al 50% era stato quello del periodo 1973-1974, quasi due anni di difficoltà dovuti allo shock petrolifero.
Insomma, a dicembre c’è stata solo una grande paura?
Un po’ di terrorismo mediatico, creato probabilmente ad arte, è stato utilizzato per mettere in cassaforte lauti guadagni, ovviamente solo da parte di qualcuno, che ha così sfruttato l’aumento delle oscillazioni, ma di recessione nemmeno l’ombra. Il Fmi, del resto, continua a prevedere una crescita globale sostenuta dopo il +3,7% del 2018: dovrebbe essere del 3,5% nel 2019 e del 3,6% nel 2020. Ma soprattutto il Fondo monetario mantiene una previsione di crescita per gli Stati Uniti del 2,5% per il 2019 e dell’1,8% per il 2020. Un rallentamento, quindi, e non una recessione.
Quali altri indizi vanno in questa direzione?
E’ molto interessante il forte rialzo messo a segno proprio nell’ultima parte della settimana dall’indice PHLX dei semiconduttori, conosciuto come ”SOX”, il riferimento del mercato. Il comparto dei semiconduttori era entrato in fibrillazione a fine 2018, a causa dei timori di un rallentamento delle vendite dei nuovi modelli di iPhone da parte di Apple, ma le ultime trimestrali e previsioni da parte dei giganti del settore, compresa la nostra Stm, hanno permesso al SOX di risalire con decisione. In modo del tutto simile all’S&P 500 è possibile valutare il ribasso dai massimi di marzo 2018 come una fase correttiva potenzialmente conclusa del rialzo precedente. Le oscillazioni degli ultimi 10 mesi circa sono interpretabili come un “flat” irregolare, una tipologia di fase correttiva codificata nella teoria delle onde di Elliott, in questo caso con onda C estesa rispetto ad onda A. E anche se la correzione non fosse ancora completata, nella peggiore delle ipotesi il rimbalzo potrebbe estendere fino ai massimi di marzo 2018 a 1.465 punti, dove poi si deciderebbe il destino a medio lungo periodo per l’indice. Conferme in questo senso verrebbero oltre area 1.300, “neckline” del testa spalle ribassista disegnato dai massimi dello scorso gennaio, il cui superamento cancellerebbe le implicazioni negative derivanti dalla presenza della figura. Da notare che anche il grafico di forza relativa SOX/Nasdaq Composite, una curva che tende a scendere durante le fasi di Borsa calante e a salire quando invece la Borsa nel suo complesso si rafforza, dopo una flessione ha iniziato a rialzare la testa: un’indicazione molto affidabile di voglia di rialzo da parte degli operatori.
(Marco Biscella)