Lo shutdown è finito, andate in pace. Lo so, può apparire blasfemo l’utilizzo di una formula simile come attacco di un articolo di economia. Ma non lo è. Perché ormai, signori, siamo all’interno di una liturgia laica consolidata e – questa sì – sacrilega, con una sua iconografia e una sua precisa idolatria: la menzogna. La narrativa ufficiale, infatti, vuole che la serrata federale più lunga della storia degli Stati Uniti moderni – 35 giorni – sia terminata dopo che l’assenza di controllori di volo ha costretto le autorità preposte a cancellazioni di massa all’aeroporto La Guardia di New York: di fronte a quel caos, Donald Trump avrebbe abbozzato e sarebbe sceso a compromessi con i Democratici a tempo di record. Tre settimane di tempo per trovare una soluzione alla vexata quaestio del muro con il Messico, durante le quali però le attività governative torneranno in funzione a pieno. Ivi compresi gli 800mila lavoratori colpiti dallo shutdown e dal blocco dei salari che esso ha comportato, con le scene che abbiamo visto ai tg di dignitosi cittadini e dipendenti pubblici in coda per ottenere dei pasti gratis, come fossero dei senzatetto.
Non so voi, ma di fronte a quello che per Trump rappresenta più che una disputa politica, bensì una priorità di emergenza e sicurezza nazionale, mi sarei aspettato dell’altro dalla Casa Bianca: un atteggiamento alla Reagan verso i controllori di volo, ad esempio, facendo ricorso al loro amor patrio e alle responsabilità che hanno di fronte ai cittadini e al loro diritto di volare senza pericoli. Insomma, tornate al lavoro in massa, nonostante lo shutdown, il Presidente in persona vi garantisce che sarete ricompensati, anche a livello di straordinari. Tanto, deficit più, deficit meno. Oppure, un bel muro contro muro stile Salvini sul caso SeaWatch: chissenefrega di qualche volo cancellato, oltretutto non è nemmeno più la stagione clou del turismo natalizio e di fine anno.
Invece, ciò che era iniziato come un braccio di ferro senza precedenti il 22 dicembre scorso, è terminato con una bella pacca sulle spalle e il più classico dei compromessi all’italiana. Oltretutto, garantendo ai Democratici una vittoria a livello mediatico, visto che la Speaker, Nancy Pelosi, ha immediatamente sottolineato come quanto accaduto rappresenti per la Casa Bianca «una lezione che speriamo abbia imparato». Il tutto, nel giorno in cui l’Fbi arrestava e immediatamente rilasciava su cauzione Roger Stone, l’ex consigliere di Trump durante la campagna elettorale. Nemmeno a dirlo, il fermo sarebbe direttamente legato al caso Russiagate e ordinato dal super-procuratore Mueller in persona. Cortina fumogena nella cortina fumogena, insomma. Aria irrespirabile. E, soprattutto, realtà completamente offuscata.
Quale? Ad esempio, quella che vedrebbe i piani di John Bolton per un golpe-lampo in Venezuela messi a dura prova dall’inattesa perdita della pazienza di Vladimir Putin, il quale mentre il mondo era intento a dividersi fra sostenitori e contrari a Nicolàs Maduro, inviava contractors di sua fiducia a Caracas in difesa proprio del leader chavista. Gente che ha operato per conto del governo di Mosca in Siria e Ucraina: insomma, gente con cui è meglio non scherzare. Perché prima spara e poi chiede nome e cognome, intimando l’alt. Formalmente, Donald Trump avrebbe incassato quindi la sua prima, seria batosta politica interna per mano Democratica, il brutto frutto amaro del sostanziale pareggio alle elezioni di mid-term di novembre.
Proprio sicuri? Il 23 gennaio, due giorni prima della decisione di far cessare lo shutdown, ecco cosa aveva dichiarato alla Cnn, il presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca, Kevin Hassett, rispondendo alla domanda riguardo l’ipotesi di Pil allo 0% nel primo trimestre, proprio a causa dell’esercizio provvisorio forzato e prolungato: «È vero che se oltre a fare i conti con un tipico primo trimestre molto debole, dovremo affrontare anche uno shutdown prolungato, potremo ritrovarci a fare i conti con un numero che sarà molto basso, prossimo a quello». Quello significa zero, come nella domanda/provocazione della Cnn. Ma subito dopo, ecco l’ottimismo: «Ma questo potrebbe essere seguito da una crescita gigantesca nel secondo trimestre, se il governo riaprirà le attività». Et voilà, la chiave di tutto: l’aspettativa. E la speranza nel futuro. E Hassett ha usato proprio quel termine, humongous, gigantesco. Ma non solo. Per il capo dei consiglieri economici di Trump, una recessione negli Stati Uniti nel 2020 «ha possibilità praticamente prossime allo zero di accadere, così come il rischio di un downgrade del rating di credito». Infine, «sono molto fiducioso che Usa e Cina raggiungeranno un accordo».
Ancora sicuri che Donald Trump abbia politicamente perso e che, soprattutto, lo shutdown così prolungato e dai toni così mediaticamente drammatizzati sia stato reale e non l’ennesima pantomima a uso e consumo di tg e social network, comoda sia per Casa Bianca che per Democratici? Pensateci. Nancy Pelosi e soci hanno potuto mostrare di essere gente che non si piega, che sa fare opposizione reale allo strapotere arrogante di Trump, ma quest’ultimo, nel contempo, ha ottenuto il massimo: giustificare con lo shutdown il dato orrendo che arriverà a inizio aprile rispetto al Pil del primo trimestre e, soprattutto, i dati anticipatori delle prossime settimane. E, nel contempo, gettare i semi del buonsenso: ovvero, il Presidente quando ha capito che l’economia avrebbe pagato un prezzo troppo alto, ha fatto marcia indietro e dato vita a un dialogo con i Democratici. Creando le basi per la “crescita gigantesca” del secondo trimestre, come annunciato fa Hassett alla Cnn. Di fatto, alibi trovato e lattina calciata fino all’estate almeno.
Un po’ ciò che ha fatto giovedì scorso Mario Draghi con i mercati, annunciando chiaramente che fino almeno al prossimo settembre i tassi non si muoveranno di un millimetro. E, cosa più importante di tutti, in questo modo ha paralizzato la Fed almeno fino al prossimo meeting di Jackson Hole di agosto, perché con un Pil del primo trimestre schiantato ai minimi “per colpa” dello shutdown – quindi, politicamente vendibile come responsabilità dei Democratici e del loro no aprioristico al muro con il Messico -, con quale coraggio Jerome Powell alzerà i tassi anche solo di un quarto di punto? E con quale ardire proseguirà per sei mesi le redemptions dei titoli in scadenza nel bilancio della Fed, drenando mensilmente 32 miliardi di dollari dal mercato, destinati a diventare 50 al mese da luglio in poi?
Sempre sicuri che Donald Trump abbia perso questa battaglia, che abbia ceduto nel braccio di ferro con i Democratici? O forse lo shutdown, oltre a rappresentare l’alibi perfetto per giustificare i prossimi, pessimi dati macro, innescare nuova speranza nel futuro (ricorderete che nell’ultimo sondaggio sul sentiment economico dell’Università del Michigan, Umich, fu proprio la voce hope quella che schiantò in generale la lettura ai minimi da sei anni a questa parte) e garantirsi una Fed in modalità “colomba” fino all’estate, ha rappresentato anche l’ennesimo stress test sul grado di sopportazione economica dei cittadini americani, soprattutto la classe media? Ce lo mostra questo grafico, reso noto il giorno prima della fine dello shutdown da Bank of America, il quale ci mostra come il dato di chi ritiene che lo stato dell’economia sia peggiorato rispetto all’anno precedente appare sì aumentato nel corso della serrata federale, ma non certo oltre il livello di guardia.
Insomma, l’America ha sempre più timore ma non ha ancora paura. La vulgata mediatica del grande boom e di Wall Street che scoppia di salute, ancora regge. Sempre meno, ma regge. Non a caso, il capo dei consiglieri economici della Casa Bianca esclude totalmente la possibilità di una recessione negli Usa nel 2020, quando di fatto a Davos si parla di recessione globale già quest’anno: cosa significa, a vostro modo di vedere? Che serviva bloccare la Fed e magari rimetterla in modalità espansiva in qualche modo, per evitare un eccessivo rallentamento dell’economia Usa. E anche grazie (o, forse, soprattutto) allo shutdown, oltre alla pantomima commerciale con la Cina, la missione pare proprio riuscita.
Cosa resta, però, di reale da questo shutdown messo in pausa? Un’economia, quella statunitense, dipendente in maniera enorme dallo Stato, dalla spesa federale e dalla Pubblica amministrazione, sia come dato occupazionale diretto che come indotto. Alla faccia della patria di Wall Street e del libero mercato. Gli americani, dipendenti pubblici in testa, non hanno risparmi sufficienti a resistere all’impatto di tre settimane di mancati stipendi, dato che quasi il 60% degli statunitensi ha meno di 1.000 dollari di risparmi a disposizione per le emergenze, come confermato da Market Watch e da questo grafico. E questo in un Paese che continua a farsi vanto globalmente del suo tasso di disoccupazione ai minimi da 50 anni. Cosa succederebbe in un quadro simile, se la situazione cambiasse non dico radicalmente, ma anche soltanto per un normale incidente di ciclo come appunto una recessione?
L’America dei miracoli, a oggi, non reggerebbe a livello sociale una crisi come quella post-2008, ecco qual è l’unica, allarmante certezza che ci ha fornito lo shutdown appena sospeso. Ma state certi, non è questo che vi diranno i giornali e i telegiornali. La propaganda ha vinto ancora, ma sarà sufficiente a rimandare la recessione, ancorché evitarla appare impossibile? E se l’America potrà spostarne l’epicentro altrove, per attutirne almeno il colpo, pensate che non lo farà? O, forse, l’ha già fatto, fingendo di fare la guerra con la Cina e scaricandone i costi vivi e immediati sull’economia dell’eurozona?