C’è un Paese verso il quale il turismo italiano è cresciuto del 10% nel 2018 per il periodo gennaio-agosto 2018 rispetto allo stesso periodo del 2017. Dove sono dunque transitati 270 mila turisti italiani. Con 13.000 italiani residenti, ma collegati con la madrepatria da dieci voli giornalieri: la più grande comunità italiana in Medio Oriente. Stiamo parlando degli Emirati Arabi Uniti. Dove Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, è appena stato in visita ufficiale, cogliendo l’occasione dell’accordo tra Eni e Adnoc, la compagnia petrolifera emiratina, firmato l’altro giorno ad Abu Dhabi, capitale dell’unione: “Con questo accordo l’Eni ha acquisito il 20% del quarto complesso di raffinazione al mondo, che sarà peraltro orientato a una tecnologia low carbon – ha sottolineato il premier -. Si tratta dell’operazione più rilevante mai condotta negli Emirati da un investitore straniero in campo energetico”.



Conte, ad Abu Dhabi insieme all’ad Eni, Claudio Descalzi, ha sottolineato che “la firma dell’accordo tra Eni e Adnoc ha un valore strategico per il nostro Paese”. Ed effettivamente l’intesa, ha sottolineato ancora Conte, ‘‘è un grande risultato, frutto delle avanzate tecnologie e delle elevate competenze sviluppate da una nostra azienda partecipata, Eni, che sta contribuendo ad affermare nel mondo l’eccellenza italiana in campo energetico’’. Il Premier ha sottolineato infine ‘‘l’attenzione particolare a tutti i processi che riducono la componente carbonica’’ che sarà posta nello sviluppo dell’attività di raffinazione emiratina e la ‘‘spiccata attenzione alla promozione di tecnologie low carbon e rinnovabili e allo sviluppo di un’economia integralmente circolare’’.



È una mossa giusta, questa italiana. Fossero tutte così. Oggi gli Emirati sono per noi un partner commerciale di proporzioni contenute, ma di alta crucialità. E poi contenute si fa per dire. Le aziende italiane registrare negli Emirati sono 96, ma le agenzie commerciali 510 e i marchi addirittura 8765, per 703 milioni di dollari di investimenti diretti, a fronte di 373 milioni di investimenti emiratini da noi.

Sbaglierebbe chi pensasse però agli Emirati come a una precaria eccezione di stabilità nel disordine mediorientale. Sono, al contrario, un’oasi di ordine ed efficienza istituzionale gradita a tutti, compresi i paesi integralisti. Non a caso, hanno alle spalle circa due secoli di integrazione con l’Occidente, a partire dal primo trattato del 1820 col Regno Unito fino al 1972, quando l’Unione assunse l’attuale assetto. Oggi, gli Emirati Arabi Uniti sono classificati 21° a livello globale nell’indice generale del World Happiness Report 2017. E una nuova legge sugli investimenti stranieri è in fase di elaborazione per migliorare e sviluppare l’accoglienza dei capitali esteri negli Eau nei vari settori economici suscettibili di maggiore espansione.



Il vantaggio principale di questo nuovo disegno di legge per gli investitori stranieri è che porterà ad aumentare la percentuale di proprietà straniera lecita in progetti imprenditoriali fino al 100% nei settori o nelle attività – numerose – consentite dalla legge. Tutto questo va traguardato in rapporto con l’Expo Internazionale, in programma a Dubai nel semestre tra i il primo ottobre del 2020 e il 31 marzo del 2021 – è il clima torrido che suggerisce questa scelta di stagione relativamente fresca – e che raccoglie idealmente il testimone dall’Expo 2015 di Milano.

Ma se si passa dal piano economico generale e ci si focalizza su quello, ancora cruciale per i prossimi trent’anni, dell’economia del petrolio e dei gas, la valenza strategica della mossa italiana negli Eau si fa ancora più chiara. L’ingresso del Cane a sei zampe negli Emirati Arabi Uniti con l’acquisizione di una quota in due concessioni offshore è una mossa giusta perché, messe da parte le tensioni con la Turchia per le licenze concesse dalla Repubblica di Cipro nelle acque economiche di sua esclusiva pertinenza, che hanno fatto fare dietro front alla piattaforma Saipem 12000, il gruppo guidato da Claudio Descalzi ha voluto ribadire la validità della propria strategia, iniziata ormai quattro anni fa, che ha permesso all’azienda di attraversare uno dei periodi più complicati per l’industria oil&gas a causa del crollo delle quotazioni del petrolio.

“L’accordo strategico con Abu Dhabi si allarga subito all’Egitto e in prospettiva anche al Fezzan, dove l’Italia deve fronteggiare la concorrenza francese. In un Medio Oriente fatto a vasi comunicanti a volte le vie più lunghe sono le più sicure”, è la chiosa degli analisti di Italy Post. Che arriva anche a compensare il ritiro forzato dal mercato iraniano, per via delle nuove sanzioni imposte da Donald Trump. Per l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, è la conferma “della fiducia nel nostro modello upstream, basato sull’integrazione dell’esplorazione e dello sviluppo”. Tradotto, significa che Abu Dhabi ha scelto l’azienda italiana perché gli garantiva, prove alla mano, un passaggio rapido dall’esplorazione alla produzione.