Se, come detto, nel Palazzo si è propensi ad accantonare il rapporto della “Commissione Ponti”, il D-Day sulla Tav però incalza. Anche perché una commissione di giuristi sta esaminando i costi finanziari all’erario in termini di rimborsi e penali, nonché le implicazioni legali di “denunciare” (ossia ritirarsi unilateralmente) da accordi firmati da Governi e ratificati da parlamenti italiani e che, sino a quando non cambia la Costituzione, non possono essere oggetto di referendum abrogativo.
Le stime preliminari che circolano si aggirano sui 4 miliardi di euro per rimborsi e penali, più o meno tanto quanto il costo all’Italia del completamento dell’opera (4,8 miliardi). A rimborsi e penali, si dovrebbe aggiungere il costo del ripristino del territorio, dato che trenta chilometri di tunnel sono stati già scavati, nonché quello di dare misure minime di sicurezza alla galleria esistente che risale al 1856, così insicura, oltre che lenta, che – come si è detto – i traffici sono crollati. Per tale adeguamento ci vorrebbero, secondo l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione, tra gli 1,4 e gli 1,7 miliardi. Il percorso, però, resterebbe tale da far passare solo i treni corti e leggeri.
Il presidente del Consiglio non è tanto preoccupato dal costo finanziario (un grattacapo per il sempre sorridente Prof. Giovanni Tria, ora ministro dell’Economia e delle Finanze). “L’avvocato del popolo” è angosciato dal costo politico: sulla Tav si potrebbe consumare uno scontro al calor bianco tra “l’Italia che lavora e che produce” della Lega e l’Italia “della decrescita felice” del M5S.
È in questo contesto che nasce l’idea (non c’è ancora un vero e proprio progetto) della mini Tav: un tunnel unico e ripristino, e adeguamento, sotto il profilo soprattutto della sicurezza, della “linea storica”. Costerebbe, pare (non esiste un progetto dettagliato), 1,5 miliardi di meno dell’opera a cui ora si dovrebbe lavorare (se i cantieri non fossero stati bloccati).
La prima domanda è se la mini Tav sarebbe adeguata come base di compromesso tecnico, non solo politico. A quel che si sa, mentre con la Tav i tempi di percorrenza sulla tratta Torino-Lione passerebbero da 3,5 ore 1,5 ore, con la mini Tav i tempi sarebbero di 2,5 ore. In effetti, si rallenterebbe il percorso del corridoio Lisbona-Kiev. Non è detto che francesi e tedeschi la prendano bene.
I francesi e i tedeschi se lo aspettavano da quando hanno cominciato a vedere come in Italia si starnazzava sulla Tav. Negli anni Novanta, all’inizio dei negoziati sul corridoio, Parigi era poco entusiasta poiché aveva già in mente un percorso alternativo (che ha completato), mentre Berlino era favorevole a un “passaggio” a sud delle Alpi perché preoccupata dell’ingolfarsi delle infrastrutture nel proprio territorio. In effetti, da anni già funziona una rapidissima Lione-Monaco di Baviera da cui si arriva velocemente a Berlino, per poi proseguire sino a Kiev e (in periodo di non belligeranza) a Mosca. In caso di rinuncia dell’Italia, la Francia potenzierebbe (con una piccola parte delle restituzioni e penali incassate dall’Italia) la Lione-Monaco e la Germania accelererebbe il programma già esistente per potenziare la Monaco-Berlino. Un’altra via che verrebbe potenziata è la Lione-Monaco-Vienna-Budapest.
L’Italia verrebbe isolata, rendendone meno competitivo l’ex-import e assicurando il deperimento dei porti di Genova e di Trieste. In lavori scientifici e in prese di posizione politiche, il ministro degli Affari europei, Prof. Savona, ha più volte, correttamente, sostenuto che uno dei nodi principali dell’Unione europea è il forte saldo commerciale attivo della Germania rispetto alle posizioni con l’estero di molti altri Stati, tra cui l’Italia, nonché il differenziale di produttività tra la Repubblica federale e molti altri Stati Ue. Potrà accettare una mini Tav solo come espediente temporaneo, prima di un progetto che, quando completato, riporterebbe da 3,5 a 1,5 ore il tempo di percorrenza tra Lione e Torino. Presumibilmente, i titolari della Farnesina e di via Settembre prenderanno posizioni analoghe per minimizzare quanto dover pagare alla Francia e alla Commissione europea, e per non avvelenare ulteriormente i rapporti con Parigi e Bruxelles.
Dal punto di vista tecnico ingegneristico occorre, dunque, fare un progetto “flessibile” che in seguito possa essere ampliato. Dal punta di vista tecnico (sempre che Parigi e Bruxelles accettino l’idea), la mini Tav è fattibile, ma – che io sappia – in Italia c’è una sola azienda in grado di progettarla e attuarla. Pare sia invisa al M5S.
Suvvia, ragazzi, diamoci una mossa.
(2- fine)