Durante un discorso al Peterson Institute for International Economics di Washington, Giovanni Tria ha espresso alcune opinioni interessanti su debito italiano e spread. Un tema su cui anche Mario Draghi si è espresso lunedì. Secondo il ministro dell’Economia, i “nostri bond vengono trattati a livelli che sembrano ancora eccessivi rispetto ai nostri fondamentali dopo l’accordo con l’Unione europea sulla manovra”. L’account Twitter del più saccheggiato e meno citato blog di finanza in circolazione (Zerohedge) si è permesso un po’ di ironia per l’associazione tra “fondamentali” e debito di Tria. Nell’anno di grazia 2019, dopo il più grande esperimento di immissione di liquidità della storia, parlare di fondamentali e tassi di interesse fa quasi tenerezza. Uno spettro ampissimo di “asset class” si muove e respira quotidianamente al ritmo delle politiche delle banche centrali. Le società da mille miliardi di dollari di capitalizzazione, iper liquide, hanno smesso di seguire i fondamentali da un pezzo e anche i rendimenti dei debiti sovrani, visto che passiamo dai rendimenti negativi del debito tedesco a quelli, comunque “depressi”, di un’economia, gli Stati Uniti, in cui si deve cercare sul dizionario la parola “austerity”.



Del Governo italiano possiamo dire tutto e il contrario di tutto e così delle manovre “cardine” dell’ultima finanziaria: il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni. Qualsiasi cosa si pensi rimane la costante di un deficit su Pil ai minimi degli ultimi dieci anni e identico a quello dell’anno precedente in una fase in cui si distribuivano i “buoni diciottenni”; siamo sempre all’interno dello schema “europeo”. Oltretutto, uno dei due provvedimenti sarebbe anche facilmente smontabile. I “fondamentali” dell’economia italiana sono identici a quelli di sei mesi fa al netto, ovviamente, del rallentamento globale.



Possiamo discutere all’infinito sulle aspettative del mercato e le preoccupazioni per questo Governo. Posto che il mestiere più difficile in assoluto per chi “sta sui mercati” è capire la relazione tra aspettative e prezzi, sulle cui incoerenze si fanno o si perdono i soldi, rimane il fatto che negli ultimi 20 anni il nostro Paese non abbia esattamente fatto faville e sia rimasto costantemente sotto la media della crescita europea. Non diciamo questo per difendere questo Governo, ma solo per dire che nel grande schema di uno sviluppo decennale, un treno pesantissimo come quello di un’economia di 60 milioni di persone ancora da primo mondo ha dei “fondamentali” che nel breve si spostano poco o pochissimo anche ammettendo una finanziaria sbagliatissima.



La vera questione come sembra quasi suggerire Tria è come mai il nostro “spread” sia ancora su questi valori “dopo l’accordo con l’Unione europea”. Infatti, lo “spread” italiano respira e si muove al ritmo dell’accordo con l’Unione europea. E ci mancherebbe altro visto che la banca centrale italiana è la Bce e la sua moneta l’euro. Esattamente come l’economia italiana e in generale quella europea respira al ritmo della crescita globale senza alcuna capacità di spinta autonoma. Se i “fondamentali” e i “mercati” spiegano gli spread dovremmo chiederci come sia giustificabile la differenza tra Francia e Italia; perché è vero che noi abbiamo più debito, ma è altrettanto vero che ci sono tre decenni di sensibilmente maggiore disciplina fiscale a nostro favore. Allo stesso modo dovremmo chiederci come mai nessuno si preoccupa del debito giapponese o americano o perché nessuno si è mai preoccupato del debito inglese quando passava in tre anni da meno del 40% del 2008 al 71% del 2011, quando partiva la crisi di noi, inutilmente disciplinati, italiani. Evidentemente la relazione tra debiti statali, mercati e “spread” è molto meno lineare e semplice di quanto sembra: la sovranità reale tra cui quella sulla propria banca centrale, la forza dell’economia o la quantità di risparmio sono fattori importanti almeno quanto il livello del debito.

La domanda, dopo le parole di Tria, è come sia possibile che all’interno di un’unione monetaria con una banca centrale unica sopravvivano differenze così pronunciate e questo non può che non essere spiegato alla luce di un progetto che, come minimo, è incompiuto. In questa transizione ci è rimasta una banca centrale che, a prescindere dal governatore, agisce discrezionalmente e anche in base a valutazioni “politiche”. Ma non dobbiamo scandalizzarci. È chiaro che il sistema euro non può non voler tutelare se stesso e proteggersi da chi lo minaccia; è giusto e inevitabile. Quello che è meno giusto è chi e come esercita questa discrezionalità visto che, ci pare, l’Europa politicamente funzioni molto diversamente dalle altre economie e democrazie “occidentali”.

In questa transizione c’è spazio per tante “incoerenze”. Vale sempre l’assunto che ogni Paese membro in Europa si rapporta con istituzioni su cui non ha controllo e che vengono “indirizzate” da un certo equilibrio e secondo alcune regole predefinite e applicate arbitrariamente. “L’alto debito” diventa un problema all’interno dell’euro ma non fuori purché l’economia sia sana e ci sia sovranità sostanziale come sembrano suggerire, diciamo così, i casi del Giappone, degli Stati Uniti, e in precise, ma non limitate, fasi storiche anche di molte altre economie. Allo stesso modo l’indisciplina fiscale abbastanza clamorosa di alcuni Paesi membri non è mai un problema.

I “mercati”, gli “investitori” che a novembre vendono a mani basse Btp che rendono il 3,7% e oggi comprano al 2,6%, per non parlare del bond a due anni che a ottobre rendeva l’1,6% e oggi neanche lo 0,3% o sono di una stupidità colossale e completamente incapaci di leggere la realtà della politica italiana e dei suoi rapporti con l’Europa e le sue “evoluzioni” oppure semplicemente non esistono e sono il “Babau” dato alle masse per nascondere le dinamiche vere dell’establishment “europeo” ormai consolidate e da cui è difficilissimo uscire; tutte sull’asse regole europee e finanziamento condizionato a governi e banche.

Per la “riduzione” del debito e le politiche fiscali “disciplinate”, visto come si sta mettendo tra Usa e Cina e recessione globale ci sembra sia il caso di ripassare; dovremmo parlare di uno zero virgola in meno in una fase piena di incognite dove l’unica cosa che conta è preservare l’economia reale e la coesione sociale. Che è quello che si fa ovunque dall’America alla Cina, ma non altrettanto “linearmente” in Europa, condannata alle sue regole e alle sue dinamiche politiche interne. Le perplessità di Tria sono anche le nostre.